E’ uscito da quasi un mese il quarto cofanetto di David Bowie Loving the Alien (1983-1987). Vi avevamo dato già tutti i dettagli qui, e la nostra anteprima esclusiva dell’ascolto di Never Let Me Down 2018 qui. E’ giunto il momento quindi di fare un punto su questo Loving the Alien (1983-1987) sia perché ce lo avete chiesto in molti, sia perché volevamo dare un seguito alle prime impressioni dell’ascolto.
Per i primi dodici anni della sua carriera David Bowie è stato infallibile.
Da Space Oddity del 1969, primo album di successo, al capolavoro di Scary Monsters del 1980 ha inanellato una serie di album incredibili sperimentando e reinventandosi costantemente. Rischiando. Dischi epocali che hanno cambiato per sempre non solo la musica, ma la nostra percezione della musica. E anche la percezione di tutto ciò che gli girava attorno: costume, moda, trucco, effetto scenico.
Ogni autunno dal 2015, seguendo un percorso di pubblicazioni scritto e voluto dallo stesso Bowie, la sua etichetta discografica pubblica un cofanetto che racchiude un periodo storico ben preciso, in ordine cronologico. Il cofanetto Five Years racchiudeva gli album dal 1968 al 1973. Who Can I Be Now? raccoglieva invece il periodo di transizione che ha traghettato Bowie dal periodo art rock alle algide atmosfere kraut e ambient della trilogia berlinese, che trovava spazio nel successivo A New Career in a New Town.
Compito di questo Loving the Alien (1983-1988) è raccontare invece quello che Bowie ha definito il suo nadir artistico, il suo punto più basso, l’opposto dello zenith: gli anni ’80.
Nel 1983 colui che aveva portato il glam rock alla statura di Arte, colui che aveva conquistato e si era lasciato conquistare dalle suggestioni di Berlino rielaborando e creando nuove forme musicali, decise di essere semplicemente una popstar. Ci furono anche delle concause: l’ex manager Tony DeFries che si era garantito i proventi delle royalty di Bowie fino al 1982. Lo scadere del contratto con la RCA e la firma di un contratto milionario con la EMI. Bowie per la prima volta si sentì finanziariamente autonomo e entusiasta degli ingenti introiti che finalmente si riversavano nelle sue casse. E decise di provare a fare un album di successo: Let’s Dance.
Dire che ci riuscì è sminuire il colossale, magnificente, immenso successo che ottenne l’album. E ancor di più il tour in promozione del disco. L’artista cult divenne improvvisamente una popstar da copertina. Vendette più di sette milioni di copie. Più di ogni altro album della sua pur lunga discografia.
Ma possiamo parlare di nadir artistico con Let’s Dance? Decisamente no: l’album è il tentativo di un grande artista di entrare nel mondo del pop, fatto con classe e sapienza. Con l’ausilio dell’ex Chic Nile Rodgers alla produzione, confezionò un disco perfetto.
Frastornato da tanto successo, tentò di cavalcarne l’onda con i successi Tonight e Never Let Me Down del 1984 e 1987, con risultati artisti e commerciali ben diversi. Sono questi ad essere considerati all’unanimità i peggiori album della carriera di Bowie.
Ci sono pochi dubbi che Tonight lo sia: troppo prodotto e con pochissima ispirazione, scivola presto nella noia.
Anche Never Let Me Down ha sempre sofferto di una produzione eccessiva. Ma, rispetto a Tonight, i suoni risultano molto più datati e tipicamente anni ’80.
Questo “nadir” bowieano, rimanendo alle sue dichiarazioni successive, è però ricco di perle. Let’s Dance, abbiamo detto, è un ottimo album pop rock. Il noioso Tonight, che contiene molte cover tra cui qualcuna davvero brutta, si riscatta in parte con la meravigliosa ed epica Loving the Alien e l’irresistibile Blue Jean. Le colonne sonore, con Absolute Beginners, When the Wind Blows e This is not America sono la dimostrazione che Bowie non solo era ancora ispirato, ma lo era ad altissimi livelli.
Anche la colonna sonora di Labyrinth, contenuta nel dischetto RE:CALL 4 insieme alle canzoni sopracitate, ha degli ottimi momenti pop come la malinconica e sognante ballata As the World Falls Down e il soul di Underground.
Insomma, se è vero che gli anni ’80 non hanno certo brillato o raggiunto le vette della decade precedente, non tutto è da buttare. Anzi.
Loving the Alien (1983-1988), oltre a riproporre i tre dischi in studio opportunatamente rimasterizzati, include anche due doppi CD live del Serious Moonlight Tour del 1983 e del Glass Spider Tour del 1987. Una raccolta di brani sfusi e B Side, una raccolta di remix e il famigerato Never Let Me Down 2018.
Il remaster dei tre album è sicuramente ben fatto, e si nota in particolare su Let’s Dance: i fiati sono in gran lustro, gli strumenti ben separati, acquista quasi un suono tridimensionale. Anche Never Let Me Down ne guadagna: per chi ama quei suoni anni ’80, sono qui ancora più in risalto. Il suono risulta per tutti e tre gli album leggermente più scuro. Ma a destare la curiosità di molti fan è senz’altro la versione rivisitata di quest’ultimo disco.
Menzione speciale al librino che accompagna il cofanetto (che nella versione vinile diventa un vero e proprio libro): davvero bello e ben fatto.
NEVER LET ME DOWN 2018
Vi avevamo dato le nostre prime impressioni già a metà luglio quando abbiamo avuto la fortuna di essere tra le 25 persone in tutto il mondo a poter ascoltare in anteprima assoluta l’album, in un’esclusiva seduta all’interno di un HIFI Club. Avevamo potuto godere appieno della nuova veste sonora dell’album, in alta definizione, che ci aveva strappato più di un’esclamazione di stupore.
Ma passato l’effetto “wow”, com’è questo nuovo Never Let Me Down 2018?
Sgombriamo innanzitutto il campo da qualsiasi fraintendimento: sapevamo già dall’inizio che questa operazione avrebbe diviso i fan, e che alcuni avrebbero gridato allo scandalo e bocciato severamente la nuova rivisitazione prima ancora di averne ascoltato anche solo una nota. Noi non apparteniamo al gruppo di ‘indignados’ e siamo convinti che, come ci ha insegnato il nostro, la musica e l’arte siano entità liquide. Non ci scandalizza l’operazione e pensiamo che anzi, sia in perfetto stile Bowie: niente è sacro, tutto è dissacrabile. E’ la copertina di “Heroes” deturpata e profanata utilizzata per The Next Day. Nessuno si sarebbe mai permesso di mettere le mani su un album della trilogia ma se parliamo di Never Let Me Down, parliamo di uno degli album meno apprezzati della sua discografia. Un disco sul quale, in più di un’occasione, aveva espresso il desiderio di poterci rimettere mano. Secondo Reeves Gabrels, durante il periodo Tin Machine, questa volontà era stata più volte ribadita anche a lui. Ed è forse questo uno dei motivi per cui a tessere le fila di questo progetto, oltre a Mario McNully, c’è proprio lui.
Ed eccoci qui, a distanza di 31 anni, a dare seguito a questo suo desiderio e rispondere alla domanda che i fan si pongono da tre decadi: Never Let Me Down sarebbe stato migliore con un arrangiamento diverso?
La risposta è sì. Ma non del tutto. La nuova versione rivaluta senz’altro molti brani, ma non riesce completamente nell’intento: il materiale è quello che è. Alcuni brani semplicemente non possono migliorare. La sensazione finale è che, osando di più, ne sarebbe venuto fuori un gran bell’album. Il nuovo Never Let Me Down è una via di mezzo: non è abbastanza radicale per essere visto come un disco “ri-immaginato” visto che l’ossatura e gran parte del corpo sono dovuti restare gli stessi.
Perdendo la patina e il feel degli anni ’80 rimane in un limbo difficilmente interpretabile e che semplicemente non ha epoca né tempo. Quasi intrappolato in questo vacuum. Questo può essere un pregio o un difetto, a seconda di come la pensiate. Ma è una curiosità piacevole, che nulla toglie a quanto già pubblicato e aggiunge sfumature, angolature, ombre che prima semplicemente non c’erano.
Ma analizziamo traccia per traccia:
Day-In Day-Out
Il primo singolo dell’album è quella che forse meno di tutte risente del nuovo trattamento. La batteria ha un suono migliore, ma lo stesso pattern. La chitarra di Gabrels è forse un po’ troppo metallica rispetto al mood generale, ma il suo assolo salva comunque il brano rispetto alla versione originale. Un po’ più di coraggio nella parte chitarristica avrebbe sicuramente giovato di più al brano. Per noi vince la nuova versione.
Time Will Crawl
Molto simile alla versione uscita su iSelect. La versione originale aveva una batteria elettronica a tratti fastidiosa, mentre la nuova versione regala una batteria molto più densa ma forse troppo piena e impastata. In questo caso forse la dinamica di quella del ’87 rendeva il brano migliore, ma questa versione 2018 è godibilissima. Pari merito.
Beat of Your Drum
La versione originale del 1987 sembrava un patch tra due canzoni diverse. Qui il tutto è molto più fluido e l’aggiunta degli archi la valorizza. La strofa guadagna molto con gli archi e la batteria non elettronica. Il ritornello, purtroppo, è sempre stato il punto debole del pezzo e i miracoli non si possono fare. In generale, sebbene perda un po’ di dinamica rispetto alla versione originale, troviamo questa nuova versione nettamente migliore. Vince la versione 2018.
Never Let Me Down
E’ molto più rock della versione 87: è stato tolto tutto tranne la voce di Bowie, la chitarra e l’armonica. Poi hanno aggiunto dei sintetizzatori, un basso con una buona linea melodica, e la chitarra di Reeves. Alla fine l’effetto è molto più di classe, ma sostanzialmente non c’è questo grande cambiamento. La versione originale mantiene quel gusto retrò che la rende apprezzabile. Questa è più raffinata, ma forse un po’ troppo fredda. Vince la versione originale.
Zeroes
La nuova versione, spogliata di tutti gli orpelli, è un miglioramento decisivo e impressionante rispetto all’originale. Il brano si basa su una chitarra acustica cristallina, il sitar di Peter Frampton e la voce di Bowie. In origine il brano era inteso come una sorta di omaggio agli anni ’60. In questa nuova veste il riferimento sembra anche più esplicito. Vince decisamente la versione 2018.
Glass Spider
Questo brano è talmente diverso dall’originale, che è francamente impossibile definire quale versione sia migliore. Hanno due approcci e due mood molto diversi, ognuno con il proprio fascino. In quella targata ’87 la batteria elettronica era decisamente sciatta e soverchiante, ma è stata sostituita nella versione 2018 da una batteria talmente noiosa da far quasi rimpiangere quella elettronica. Qui siamo comunque nel territorio di Outside, con un pattern ambient decisamente diverso e molto meno melodico dell’originale. L’originale era davvero un pasticcio, un ibrido mal riuscito che comunque riusciva a mantenere un fascino retrò. Il sound anni ’80 mal si sposava con il racconto di Bowie. Anche qui si sarebbe potuto osare molto di più, modulando la base maggiormente attraverso il brano. La base ripetuta come un loop ha l’intento di rendere il brano quasi ipnotico. E alla fine, sebbene non del tutto soddisfatti, ci risulta molto più convincente al testo e al cantato di Bowie. Rimane, come lo era la versione originale, un brano a sé all’interno del disco. Vince la versione 2018.
Shining Star (Makin’ My Love)
La nuova versione sembra uscita da Black Tie White Noise e, sebbene risulti migliorata rispetto all’originale, rimane uno di quei pezzi difficilmente salvabili. Siamo contenti della scomparsa di Mickey Rourke, sostituito da una Laurie Anderson che purtroppo non può fare molto. Il testo da cantare è brutto e veloce. Si sarebbe potuta cercare una soluzione più drastica. Vince la versione 2018.
New York’s In Love
Abbiamo il dubbio che sia stata usata una traccia vocale alternativa: si sente un inedito “hit it!” esclamato da Bowie all’inizio. I nuovi cori sono un miglioramento indubbio, come tutto il brano. Bella la chitarra e il trattamento usato sull’assolo di Bowie. Il brano è quel che è, ma sicuramente in questa nuova versione la melodia ne esce rafforzata e più in primo piano e risulta un ascolto piacevole. Vince la versione 2018.
’87 and Cry
Molto più dinamica dell’originale e la batteria di gran lunga migliore. Sembra un brano uscito da qualche live dei Tin Machine. Non un enorme miglioramente, ma comunque lo è. Vince la versione 2018.
Too Dizzy
E’ il vero e proprio capolavoro dell’album. No, è uno scherzo. Bowie odiava il brano e lo ha voluto cancellare dalla sua discografia. Non capiamo l’esclusione di questo brano dalle ristampe dagli anni ’90 in poi: ci sono canzoni peggiori sull’album rispetto a Too Dizzy. Per esempio Shining Star.
Bang Bang
Un altro brano completamente stravolto, rallentato, reso più dark. Non ha convinto tutti. A noi invece questa nuova versione piace parecchio. L’half tempo anche in questo caso la valorizza. Vince la versione 2018.
Giudizio finale: una produzione non sempre omogenea. Si percepisce che si è lavorato su una base brano per brano senza una visione complessiva dell’opera. Archi troppo presenti e a tratti invadenti: sappiamo che Bowie aveva richiesto esplicitamente una sezione di archi (almeno per la versione di Time Will Crawl di Iselect), ma forse metterli dappertutto non era proprio quello che intendeva. Rimane però una produzione elegante che dà una nuova prospettiva all’album e alla maggior parte dei brani. Non c’è nulla di cui scandalizzarsi o di cui strapparsi i capelli gridando all’operazione commerciale. E’ ovvio che vendere musica sia un’operazione commerciale, come se non si parlasse dell’uomo che si è quotato in borsa o ha messo su un internet provider a pagamento. D’altronde chi pensa che un fan acquisti questo cofanetto per mettere le mani sulla versione 2018 di Never Let Me Down pecca, perlomeno, di ingenuità. Se non di altro.
Vale la pena comprare il cofanetto?
A questa domanda non si può dare una risposta univoca: il suono è migliore rispetto alle ristampe finora disponibili Il lavoro di rimasterizzazione ci pare ottimo. Ai fan farà sicuramente piacere avere in un unico cofanetto gran parte del materiale sparso degli anni ’80 (colonne sonore in primis) e i due live del 1983 e del 1987. Glass Spider (Live Montreal ’87) era uscito nel 2007 abbinato al DVD: il suono è più nitido, ma non aspettatevi un miglioramento netto. Serious Moonlight (Live ’83) è invece qui alla prima pubblicazione ufficiale e sembra preso direttamente dal DVD, sebbene con un sound decisamente migliore.
La versione 2018 di Never Let Me Down, per chi ha la mente scevra da pregiudizi, può essere un interessante aggiunta da mettere ogni tanto nel proprio stereo. E’ un ascolto piacevole che resterà relegato al cofanetto e non sarà pubblicato separatamente.
Il disco dei remix è davvero cosa relegata agli estimatori del genere.
Questi album vedranno poi una pubblicazione successiva al di fuori del cofanetto. Gli unici album in esclusiva con il cofanetto e che pertanto non potrete trovare separatamente saranno Never Let Me Down 2018, il disco di Remix Dance e il doppio RE:CALL 4
Grandissimi!! Attendevano la vostra recensione con molta curiosità e mi sento di convididerla totalmente. Anche a me Never Let rivisto è piaciuto anche se suppongo farà la fine di quello originale: relegato nello scaffale e ascoltato raramente. Un bel boxset come tutti gli altri. Non vedo l’ora che finiscano, però, e che comincini la pubblicazione del materiale inedito!
Grazie Mirko, i complimenti fan sempre piacere. Crediamo che i cofanetti vadano avanti fino alla fine della discografia, ma questo non impedirà la pubblicazione del materiale inedito, come ad esempio il DVD + CD di Glastombury che uscirà a fine mese. Stay tuned!
Ragazzi, concordo con voi totalmente, potrei sottoscrivere quanto avete scritto parola per parola! Da quando è uscito il cofanetto sto ascoltando con mio figlio le due versioni del disco “in parallelo”, mio figlio conosce molto bene il Bowie anni ’70, ’90 e ’00 e sta scoprendo adesso il Bowie anni ’80 (banalmente non avevo i cd e quindi in macchina quel Bowie non “girava”), quindi il ragazzino è come se lo stesse ascoltando per la prima volta e scevro da qualsiasi pregiudizio, una mente vergine e pronta a accogliere gli stimoli musicali, ed anche lui concorda con me, trova la versione 2018 superiore all’originale, la troviamo più coesa e coerente come sound, “sentiamo” che dietro c’è una band…alla fine penso che il vero limite, come dite giustamente voi, sia la scrittura di Bowie in quel periodo, scrittura che ha avuto alcune gemme fulminanti ma sicuramente in NLMD non ci sono capolavori e quindi anche in fase di ri-arrangiamento e ri-suonarlo i miracoli non si possono fare, senza considerare la “rigidità” di dover lavorare con la traccia vocale originale, complicato stravolgere le canzoni quando la traccia vocale non consente di reinterpretarle…