FUTURE LEGEND
(Bowie)
And in the death
As the last few corpses lay rotting
On the slimy thoroughfare
The shutters lifted in inches
in Temperance Building
High on Poacher’s Hill
And red, mutant eyes gaze down
on Hunger City
No more big wheels
Fleas the size of rats
Sucked on rats the size of cats
And ten thousand peoploids split into small tribes
Coveting the highest of the sterile skyscrapers
Like packs of dogs assaulting
the glass fronts of Love-Me Avenue
Ripping and rewrapping mink
and shiny silver fox
Now leg warmers
Family badge of sapphire and cracked emerald
Any day now
The Year of the Diamond Dogs
“This ain’t Rock’n’Roll
This is Genocide”
LEGGENDA FUTURA
(Bowie)
E nella morte,
mentre gli ultimi cadaveri marciscono
sulla via melmosa,
Le imposte si sollevano di pochi centimetri
nell’Edificio della Temperanza,
in cima alla collina di Braccionieri,
E rossi occhi mutanti scrutano dall’alto
la Città della Fame:
Niente più pezzi grossi
Pulci grandi come ratti
si nutrono di ratti grandi come gatti;
E diecimila umanoidi divisi in piccole tribù,
bramano i più alti tra gli sterili grattacieli.
Come branchi di cani che assalgono
le vetrine del vale Amami,
strappando e riavvolgendo pellicce di visione
e lucida volpe argentata,
ora scalda-gambe,
blasone familiare di zaffiro e smeraldo scheggiato.
Tra non molto, ormai
l’Anno dei Cani di Diamante.
«Questo non è Rock’n’Roll:
Questo è Genocidio!»
NOTE
“Future Legend” è il brano che spalanca le porte del futuro distopico immaginato da Bowie in “Diamond Dogs” (1974), un album che rappresenta uno dei vertici della sua capacità di fondere letteratura, teatro e rock’n’roll in un’unica, potente visione artistica.
Originariamente concepito come un adattamento musicale di “1984” di George Orwell (progetto poi abbandonato quando gli eredi dello scrittore negarono i diritti), il brano si nutre di molteplici influenze letterarie, creando un affresco apocalittico di rara potenza evocativa. Il testo dipinge un mondo post-atomico dove la civiltà è collassata e l’umanità è regredita a uno stato tribale primitivo, in cui i “peoploids” (neologismo bowiano che fonde “people” e “-oid”, suggerendo una mutazione della specie umana) vagano in branchi per le strade di “Hunger City”.
Particolarmente significativo è il debito con “Ragazzi selvaggi” (1971) di William Burroughs. L’immagine delle “piccole tribù che bramano i più alti tra gli sterili grattacieli, come branchi di cani” riecheggia direttamente le gang selvagge di Burroughs che si muovono “per le strade, in interi branchi, come cani affamati”. La visione di Bowie amplifica questa suggestione, trasformandola in un vero e proprio incubo urbano dove le vestigia del lusso (visoni e volpi argentate) diventano simboli di un’eleganza ormai corrotta e decadente.
La grottesca catena alimentare descritta nel testo (“Pulci grandi come ratti/si nutrono di ratti grandi come gatti”) trova invece un sorprendente predecessore nel romanzo “Il popolo dell’autunno” (Something Wicked This Way Comes, 1962) di Ray Bradbury. Qui, nei “sogni altrettanto brutti di Jim”, i misteriosi “goff” danno vita a una simile catena predatoria dove “mostruosi funghi di pasta meringata si nutrivano di topi che si nutrivano di ragni che si nutrivano a loro volta, perché erano abbastanza grandi, di gatti”. Bowie semplifica e rende ancora più inquietante questa progressione, trasformandola in un’immagine di mutazione genetica e degradazione biologica.
Musicalmente, il brano nasconde una citazione raffinata: a metà della composizione, Bowie inserisce alla chitarra una versione di “Bewitched, Bothered And Bewildered” di Richard Rodgers, originariamente apparsa nel musical “Pal Joey” (1940) di Rodgers e Hart. Questa citazione, apparentemente incongrua, contribuisce a creare quel senso di straniamento e di “cabaret dell’apocalisse” che permea l’intero album.
La conclusione “This ain’t Rock’n’Roll — This is Genocide” non è solo un’efficace punch-line, ma una dichiarazione d’intenti: Bowie sta superando i confini del rock per creare qualcosa di più ambizioso — un’opera rock distopica che fonde alta letteratura, teatro musicale e cultura pop in un amalgama assolutamente unico.
Note di Daniele Federici