GLI DEI VANNO LASCIATI NELL’ OLIMPO
Parto da Bergamo in auto, arrivo a Milano e prendo un treno ad alta velocità, in un’ora sono a Bologna.
Marco, un mio amico non bowieano (ma molto paziente con me) è arrivato, per accompagnarmi, dalla provincia di Cuneo: dopo avermi fatto da spalla su cui piangere (letterlamente!) alla mostra di Sukita ad Alba, è l’unico che possa supportarmi in questa avventura.
Non ho mai visto Bowie dal vivo: l’ultima volta che è venuto in Italia, a Milano, avevo un impegno che me lo ha impedito. Forse è stato meglio così, non so se avrei retto. Così come non so se reggerò la mostra del MAMBO.
Ho prenotato l’ingresso per le 12.00, alle 11.30 siamo già al guardaroba a consegnare il consegnabile.
Entriamo … la prima sala la visitiamo insieme, poi “insieme” diventa un’occhiata per non perdersi di vista e ognuno va per sé, con i propri ritmi. Mi immergo in Bowie quasi con incredulità, come se mi fosse impossibile credere che lui abbia davvero indossato quei costumi (ma com’era magro!) ed abbia davvero scritto quelle pagine …
Alle mostre porto sempre con me un blocco e una penna, per eventali appunti: vedo gli accordi originali di “Space Oddity” e li ricopio in fretta e furia (la sera, a casa, suonandoli, mi rendo conto che un passaggio che mi era sempre stato particolarmente ostico era invece retto da un accordo semplicissimo … se ci fossi arrivata!), mi tremano le mani …
Di sala in sala, rimango basita dalla quantità di materiale conservato: oltre a costumi, strumenti, bozzetti, anche fogli di agenda con le spese di tour e cose del genere … Per la prima volta mi trovo ad una mostra nella quale posso dire di conoscere ogni brano – OGNI BRANO – che viene trasmesso, in qualunque momento: canticchio, batto il tempo … E la mancanza che sento da quando Bowie è morto si fa un po’ meno pesante, un po’ più accettabile.
Mi piace il fatto che il percorso espositivo sia soltanto parzialmente cronologico, è un’immersione totale nel mondo di Bowie e dei suoi personaggi.
E sono grata che parli solo di lui: non delle mogli, non dei figli (per quanto Duncan abbia i suoi grandi meriti!). Giusto un’infarinatura di quanto concerne le sue origini, e basta. Bowie e solo Bowie, dal primo singolo “Liza Jane”, pubblicato il giorno della mia nascita, alle sue interpretazioni cinematografiche, alle produzioni di lavori di altri artisti (Iggy Pop, Lou Reed …), ma solo lui.
Apprezzo anche che si sia parlato soprattutto dell’artista Bowie, lasciando da parte l’uomo: la trovo una cosa molto delicata e giusta. Oltre al fatto che ho sempre affermato che “gli dèi vanno lasciati nell’Olimpo” e, per quanto lo riguarda, non mi sono mai pentita di non averlo avvicinato.
Esco dalla mostra: avevo letto che il tempo minimo di visita era di circa un’ora. Guardo l’orologio: sono passate tre ore, né io, né Marco ce ne siamo accorti. Mentre riconsegno la guida audio faccio un pensierino sulla possibilità di acquistare subito un altro biglietto e rientrare, ma il tempo è quello che è e le prenotazioni dei treni non si possono cambiare, così usciamo e cerchiamo un posto dove pranzare.
Mentre mangiamo, parliamo poco della mostra, così come avverrà nei giorni successivi: è, per me, un tesoro personale, troppo prezioso per rischiare che qualcuno me lo rovini. Me lo tengo stretto nel cuore e nei ricordi … con un pizzico di nodo in gola.
E l’intenzione di tornare a Bologna, entro la fine della mostra. Bowie val bene un doppio viaggio.
Ora so cosa mi devo aspettare e forse proprio per questo l’impazienza è ancora più accentuata rispetto a due settimane fa.
Sono in coda, non potendo prevedere la data della visita non ho potuto acquistare il biglietto in anticipo e devo aspettare il mio turno per entrare. Ogni persona che entra prima di me mi fa aumentare l’invidia ed è con sollievo che, finalmente, alle 10.15, varco la porta … per poi ritrovarmi in coda in biglietteria (unica pecca organizzativa: chi acquista i biglietti per la mostra deve fare la stessa coda di chi ne acquista quindici o venti per entrare in altri momenti. Due diversi sportelli non sarebbero stati una brutta idea).
Quando finalmente riesco ad avere il mio biglietto, ho accumulato quaranta minuti di “ritardo” e non vedo l’ora di entrare. Nel frattempo mi sono passate davanti due classi, una di bambini delle elementari e una di studenti delle superiori. I primi decisamente più interessati dei secondi.
Eccomi di nuovo nell’universo-Bowie e di nuovo immersa nella storia, nello stile, nel modo di organizzare le cose di Bowie. Mi ritrovo ancora incredula davanti ai suoi molti talenti; mi fermo davanti al video di “Space Oddity” finché non ho visto entrambe le versioni almeno un paio di volte. Rivedo tutte le interviste, i filmati, gli spezzoni di film. Come se fosse la prima volta? No, con ancora più emozione, perché di sala in sala so cosa mi aspetta e questo aumenta l’attesa.
Entrando avevo pensato che la visita sarebbe durata meno della prima volta, ma quando esco mi rendo conto che sono passate ancora tre ore, senza che io me ne sia accorta. Ho giusto il tempo per un boccone e un caffè, prima del treno del ritorno.
Anche oggi, non ne parlo con nessuno, facilitata dal fatto che sono sola: sarà il mio tesoro, sarà un ricordo caro al mio cuore. Seduta nella mia poltrona, ripenso a quello che ho visto e allo stupore che ancora mi ha preso e sono infinitamente grata a Bowie per tutto ciò che è stato: la sua musica, i suoi diversi personaggi, il coraggio di essere sempre ciò che voleva essere o ciò che voleva proporre. E decido che mi farò fare un tatuaggio a tema Bowieano, anche se non riesco a scegliere fra i vari soggetti che mi vengono in mente, ma ho già deciso il posto: interno avambraccio destro.
Non so se riuscirò a tornare prima del 13 Novembre – il 6 non mi è possibile unirmi alla visita organizzata da Velvet Goldmine -, ma non potrò mai dimenticare questi due giorni, che saranno sempre tra i più significativi della mia intera vita.
Annalisa