David Bowie | Interview, giugno 2002

Il più importante camaleonte del rock si spoglia della sua pelle, come mai aveva fatto prima.

David Bowie Heathen Interview

Ingrid Sischy: Ciò che mi ha colpito subito del tuo nuovo album Heathen è che, diversamente da molti dei tuoi lavori, non sembra rivolgersi né avanti verso il futuro né indietro verso il passato. 
David Bowie: E’ vero. L’ho iniziato con l’idea di creare una restaurazione personale, culturale. Volevo catturare ogni cosa – le idee, le tecniche che ho impiegato in tutti questi anni – mentre lavoravo all’interno di questo spazio geometrico chiamato zeitgeist (N.d.t.: spirito del tempo). E in questo processo, volevo creare un qualcosa senza tempo, che non dovesse nulla al passato, al presente o al futuro, ma che fluttuasse in un suo spazio autonomo. 

IS: E’ una strategia che contrasta profondamente con quello che succede oggi nel mondo della musica, che è formula, formula, formula. E’ questo davvero un periodo antisperimentale, escono molti dischi che sembrano fatti da persone che sembrano quasi impaurite. 
DB:
Ero perfettamente a conoscenza del fatto di non essere sotto il controllo di quello che succede nella industria d iscografica. Il fatto che la musica si può scaricare, e il pensiero di quanto questo potrà avere effetto sul futuro, stava avendo la precedenza sulla musica stessa. Avevo davvero bisogno di tirarmi fuori da tutta queste cose se volevo comporre in modo distinto e pulito. Non ho voluto sapere nulla di nuove tecniche, vecchie tecniche e cose del genere: volevo solo ristabilire la mia identità di compositore e di catalizzatore di suoni. La svolta è avvenuta la primavera dello scorso anno. Ho messo insieme molta musica che mi piaceva, quasi 40 pezzi, forse più. Erano solo dei motivi conduttori, lavori incompleti. Ma spesso arrivo a un punto, quando compongo in quel modo, in cui so da che parte devo andare, e così mi posso fermare. E penso.. questo è fatto, so come diventerà, e non lo devo terminare subito. E quindi mi indirizzo verso un altro progetto, un’altra idea. Così mi hanno spedito a Shokan, appena fuori Woodstock (New York), su per una montagna in una casa che si chiama Glen Tonche, da poco convertita in studio di registrazione. E’ stata quasi un’epifania. Quando ci sono entrato , tutto ciò che il mio album doveva essere si è materializzato in un unico punto focale. Anche se non sono riuscito in quel momento ad esprimerlo a parole. Sapevo già come sarebbero stati i testi. Si sono improvvisamente accumulate nella mia testa. E’ stata un’esperienza “sulla strada di Damasco”, mi sono sentito quasi volare.

IS: Wow. Ho due domande. Hai detto che qualcuno ti ha spedito là. Chi? 
DB:
Un musicista che ha di fatto lavorato poi sull’album. Si chiama David Torn, un meraviglioso chitarrista, molto abile, che abita vicino a Woodstock: Aveva lavorato in quello studio qualche settimana prima, e mi ha detto: “David, devi andare a vedere questo posto nuovo”. Mi ha detto che aveva un’atmosfera diversa da qualsiasi altro studio in cui ero stato.

IS: Puoi cercare di cogliere per noi ciò che lo rende così evocativo? 
DB:
Beh, prima di tutto penso che un luogo di ritiro in montagna crei immediatamente una certa atmosfera. Era un complesso abitativo originariamente costruito negli anni ’20 da un industriale, come casa estiva per la sua famiglia, e chiaramente lo disseminò di arredamenti marinari, perché il posto ha quell’atmosfera da yacht del periodo di Eisenhower – hai presente.. quelle cose molto americane ma aristocratiche. E’ tutta in legno, con grandi saloni, e il terreno intorno è pieno di cervi, maiali e orsi. La sala da pranzo che abbiamo usato come studio ha soffitti alti 12 metri, con finestre di 7 metri che danno sulla riserva e sulle montagne.

IS: Sono rimasta sorpresa quando mi hai detto che stavi registrando nella zona di Woodstock. Non ti ho mai pensato come un tipo “arcadico”. 
DB
: Sì, hai ragione, non sono mai stato un fan di tutta la storia di Woodstock. Non sono per nulla un tipo nostalgico, e non sono predisposto al relax – mi spaventa, e quindi di solito registro in città con grande rumore come Berlino, new York o Tokyo.

IS: Sei di solito influenzato dall’atmosfera? 
DB:
Si, molto. Voglio dire, sono andato una volta a Woodstock e l’ho odiata. Troppo leziosa. Questo posto invece non è lezioso, è in cima alle montagne, desolato, spartano. In questo caso, l’atmosfera da ritiro ha reso più veloci i miei pensieri.

IS: In che modo? 
DB:
Ha fatto in modo che io capissi che la mia forza maggiore come scrittore è una grande abilità nel cogliere la paura transitoria, fastidiosa. Non faccio panoramiche politiche mondiali, ma sono in grado di cogliere le effimere tasche del dubbio e l’angoscia che ci sta sotto. So quanto buono è quest’album – è un album riuscito per me, dal punto di vista creativo. Non cambierei una nota. E mi ha dato una fiducia davvero stimolante sulle mie qualità di scrittore. Sento come se io stessi scrivendo nei prossimi anni i miei lavori migliori. Non so che è successo lassù, ma qualcosa è scattato, come scrittore.

IS: Torniamo alle montagne e a quello che rappresentano per te. 
DB:
Dal momento che sono un Capricorno, ho sempre pensato a me stesso come a una capra di montagna (ride). Sono sempre stato attratto dalla montagna, è il senso di distacco, il senso di isolamento forzato che non mi piace. Più invecchio, più mi abituo a essere un essere sociale, che non era propriamente nel mio modo di essere naturale.

IS: Non lo era? 
DB:
No. Ero molto timido, mi sentivo molto scomodo in ogni situazione sociale. Non sapevo che dire, che fare. Negli ultimi quindici anni sono molto migliorato. Mi era già capitato di scrivere in mezzo alle montagne, ma mai con una tale gravità. Non ho mai sentito la pregnanza di quello che stavo scrivendo. Ma non avevo mai avuto anni prima. Ora ho gli anni dietro di me.

David Bowie Heathen Interview 2

IS: Che cosa ti manca degli anni in cui eri un giovane musicista? 
DB:
L’unica cosa che mi manca di quando ero giovane è il senso di divenire in cui si vive sempre. In un qualche modo sono.. arrivato non è la parola giusta, ma ora sono diventato, sono. Quello che mi interessa è l’essere. Quando sei giovane, non sai cosa cosa c’è dietro l’angolo delle ventiquattro ore di un giorno, e c’è un senso di avventura in tutto ciò. Questo non vuol dire che credo di conoscere tutto ciò che succederà, ma in un qualche modo sai che non c’è più nessun cambiamento che ti sorprenderà o che ti coglierà alla sprovvista. Alcuni degli album che ho fatto sono davvero fotografie del loro tempo – influenzati da ciò che c’era fuori sulla strada e da ciò che io percepivo in quel periodo particolare. Essendo una persona curiosa, non c’era altro modo per me che fissarmi su una cosa fino a quando non avevo sperimentato tutto per scoprire quello che mi piaceva esattamente, quello con cui mi trovavo a mio agio. Suppongo sia questione di personalità, i miei interessi lo rispecchiano molto. Osservo sempre tutto, sempre, solo per capire ciò che mi rispecchia come persona più di ogni altra cosa – per catturare quel tenue bipolarismo che è parte della mia personalità. E lo dico con molta serenità, non penso sia intrinseco in me, perché ho incontrato persone che sono bipolari, e io non lo sono, ma c’è in me una piccola particella di quel bipolarismo. Posso passare drammaticamente da momenti di gioia a momenti di depressione, ma poi negli ultimi dieci anni non è stato così. In questo album ho cercato di togliere via queste cose e cercare il motore essenziale che mi guida. A causa della mia età, è un motore che mi porterà in un qualche modo al futuro. E volevo affermarlo per me stesso, non volevo ridurre tutte le cose a uno stile identificabile – sono ancora molto diffidente sul fatto di avere uno stile.

IS: Ma i tuoi lavori hanno molta voce in capitolo in questo caso 
DB:
E’ vero, ma non voglio che diventi patetico, del tipo “Ecco i ricordi di un vecchio” o cose del genere. Quindi, non ho nessun imbarazzo nell’esprimere i pensieri e le esperienze di un vecchio. C’è una filastrocca inglese che porto sempre con me. Il primo verso dice “questo è il modo in cui i giovani vanno a cavallo, clip-clop, clip-clop, clip-clop” e finisce così “questo è il modo in cui i vecchi vanno a cavallo, strash, strash, strash, giù nella fossa”. Avevo in testa che io facevo parte della parte “questo è il modo in cui i vecchi vanno a cavallo”. Ho voluto dare il senso di quello che ti succede quando arrivi a questa età –hai ancora dubbi? Hai domande e paure? E tutto brilla della stessa luminosità di quando eri giovane? Per iniziare, ho usato le canzoni di Richard Strass, che per tanto temo mi hanno influenzato. C’è un senso incredibile di universalità in quei brani che Strass scrisse negli ultimi anni della sua vita, a ottantaquattro anni [le Ultime Quattro Canzoni]; ritengo siano i brani più romantici, tristi e intensi che siano mai stati scritti. Li ho usati in qualche modo come modello per pezzi sul mio album quali Sunday, Heathen, I Would Be Your Slave e 5:15 The Angels Have Gone. Abbastanza stranamente, non si vuole sempre scrivere quello che si scrive. Sunday e Heathen sono due brani che non volevo scrivere, ma questo luogo mi ha tirato fuori i testi. Mi alzavo molto presto al mattino, alle sei circa, e lavoravo nello studio prima che qualcuno arrivasse, raccogliendo quello che volevo fare nella mia giornata di lavoro. E spesso i testi delle canzoni venivano fuori mentre mettevo insieme la musica. Grandioso davvero. E il testo di Sunday è venuto così, la canzone è stata scritta mentre la suonavo, e c’erano due cervi che pascolavano fuori sui campi e un’auto passava molto lentamente dall’altra parte della riserva. Era mattino presto e c’era qualcosa di così calmo e primitivo in quello che stavo osservando fuori che le lacrime mi scorrevano mentre scrivevo questo pezzo. E’ stato straordinario. 

IS: Lo scorso agosto, dico bene? 
DB:
Sì, prima dell’11 settembre. So dove vuoi arrivare. Probabilmente una mezza dozzina dei miei album avrebbero potuto uscire dopo l’11 settembre e la gente avrebbe pensato che era di commento a quella tragedia. Penso in tutta onestà che uno stato generale di angoscia fosse presente prima dell’11 settembre. Nella vita ci sono sempre stati disastri o quasi.

IS: Ma ci sono anche lavori che sembrano coglier qualcosa, e che sembrano particolarmente adatti a certi periodi. Ad esempio, il Concerto per New York al Madison Square Garden per il Robin Hood Relief Fund non è stato aperto con “Heroes”?
DB:
Ho eseguito America di Simon & Garfunkel

IS: Ah sì.. 
DB:
Sono certo che se tu riguardassi le canzoni di Dylan composte subito dopo settembre, avresti potuto metterle più o meno in ogni album che ha fatto e dire “Mio Dio, ha fatto un sacco di soldi!”

IS: Non pensi che il senso dell’arte – la pittura, la musica, la scrittura – sia quello di cogliere la forma di un certo periodo? E quando la si osserva, o ascolta o legge, noi pubblico, comprendiamo qualcosa di quel periodo. 
DB:
E’ così che…

IS: Cosa? 
DB:
E’una dicotomia che fa girare la testa – il desiderio di vita contro la carattere definitivo di ogni cosa. Sono quelle due cose che si scatenano l’una contro l’altra. E ciò produce quei momenti che suonano verità, perché dici “Ma non è bello essere vivi… e tutto finirà!” .. queste due cose messe insieme sono Ahhhhh. E’ l’intera storia. Ecco. Non c’è più nulla che può essere detto. E come ne vieni a patti con quella situazione? C’è un qualche fattore di conforto in tutto ciò? Che senso ha?

IS: Hai ragione. 
DB:
Ecco come è Heathen. Mi piace questo lavoro. Mi piace la sua vita. E non voglio mollare. Non voglio proprio mollare. E’ dura mollare. Questo album parla di questo. Ed è stato questo luogo che mi ha aiutato. Ho davvero percepito di essere uno scrittore.

IS: E’ interessante il fatto che tu lo dica, perché io sento di capire che sei uno scrittore quando lo ascolto. A volte la tua abilità nell’identificarti con altri personaggi ha offuscato che tu sei – chi è David Bowie. E’ stato difficile disfarsi di tutto? 
DB:
Suppongo sia perché dietro a tutto ciò che si sente, si… se ti approcci a dei soggetti e fai, interpreti quei soggetti, non rimane più nulla da scrivere perché sono solo soggetti. Una volta che li hai fatti, che devi fare ancora? Ma naturalmente su questi di soggetti ci puoi continuare a scrivere, scrivere, scrivere. Ci sono e ci saranno sempre.

IS: Vuoi dire i veri grandi soggetti – la via, la morte, Dio. 
DB:
Si. E gli eventi di questi ultimi mesi, e le condizioni davvero edonistiche in cui ci ritroviamo, che non sono propriamente illuminanti; non c’è luce mentale. Non c’è nessuna consapevolezza di dio nella vita della maggior parte delle persone. Il filisteismo, che rende ottusa ogni cosa, arriva e produce questo sterile scenario in cui viviamo; è dichiaratamente ben vestito, ha bei mobili, ed è una casa davvero ben costruita. E rende superficiale così tanto di quello che sentiamo importante.

IS: Hai sempre scritto partendo dalla musica? 
DB:
Sì. Non ho mai considerato i miei testi tanto buoni o importanti. Ho una timidezza naturale; mi è sempre sembrato di esprimersi in modo sconsiderato quando ho cercato di dire quello che volevo dire. Non ho mai pensato di esprimermi molto bene.

IS: Una canzone che sembra distanziarsi dalle altre su Heathen è Everyone Says Hi. Ha un tono così diverso dalle altre canzoni, una sorta di pop anni ’60 in apparenza con molto di più sotto. 
DB:
Parla della morte di qualcuno, anche se sto metaforicamente parlando di qualcuno che muore. Da giovane, ebbi questa schiacciante sensazione quando morì mio padre, non se ne era andato – era andato in vacanza per qualche giorno.. che è il nodo di tutta la canzone: le persone più vicine a noi che ci lasciano non sono morte sul serio, se ne sono andate per un po’.. Mi domando dove sono andate: ovunque siano, spero sia un bel posto.

IS: A quale punto della creazione dell’album sono venute fuori le canzoni che scavano nei grandi soggetti?
DB:
Subito all’inizio. Infatti le cose più consistenti, le chiavi di volta dell’album sono state scritte nella prima parte. Volevo finirle. E mi sono sentito più leggero dopo aver capito di avere fatto un passo importante. Heathen parla del fatto di sapere che morirai. E’ un canto alla vita, in cui parlo alla vita come a un amico a un’amante. Non sono riuscito a cambiare una parola nel momento in cui l’ho cantata per registrarla.

IS: Sembra quasi un film 
DB:
Si, è stata fatto di proposito. Ho provato a farlo, una riflessione sui bei tempi, quando tutto è giovane ed innocente. E’ come se la vita ti stesse lasciando nello stesso modo in cui potrebbe farlo qualcuno che ami. Non importa quanto bene o male tu stia, si arriva a un momento in cui senti che se ne va.

IS: Spesso è in uno dei suoi momenti più felici, non pensi? 
DB:
Sì. Ci sono momenti nelle nostre vite tranquille che siamo molto felici, ma si arriva a un punto in cui non si cresce più, la nostra forza fisica diminuisce. In special modo dopo i 50 anni, diventi consapevole che è il momento di abbandonare l’idea di essere giovane. Devi abbandonarla questa idea. Ciò produce questa menopausa maschile di mezza età: non credi di non poter crescere più e temi che il cambiamento sarà terribile. Poi quando ci sei dentro, ti accorgi che poi non è così male. E’ un processo naturale, ma è comunque molto triste.

IS: So che Heathen uscirà intorno all’11 giugno. Che altro stai preparando per farci scoprire il tuo nuovo lavoro? 
DB:
Farò due concerti a New York per iniziare, per capire di trovare il mio modo di fare i pezzi. Farò anche alcuni pezzi non usuali – canzoni che non ho mai eseguito prima su un palco. Infatti il set sarà fatto per il 70% di cose che non ho mai fatto dal vivo, il che sarà molto eccitante per tutti noi. Sto anche preparando il Meltdown festival quest’anno: personaggi come Laurie Anderson e Scott Walker lo hanno curato gli anni precedenti. Dal punto di vista artistico, ho dei diplomati a varie scuole d’arte di Londra e della Scozia che espongono su mio sito bowieart.com. Dal punto di vista musicale, ci sarà una rara apparizione dal vivo a Meltdown dei Television e io stesso chiuderò il festival con i Dandy Warhols come supporto. Nel mezzo, gente come Legendary Stardust Cowboy e Daniel Johnston, dei veri outsider dal Texas. Daniel Johnston fa cose un po’ alla Brian Wilson; ha avuto esperienze in ospedali psichiatrici, ma questo non ha nulla a che fare col il fatto che sia un bravo scrittore. Kurt Cobain portava le sue t-shirt e i Pearl Jam hanno fatto la cover di un suo pezzo. Non c’è nessuno come Daniel, è straordinario. E Legendary Stardust Cowboy è un vero outsider. Ho davvero usato l’ultima parte del suo nome, ecco da dove viene lo stardust in Ziggy Stardust. Ho fatto una cover del suo pezzo Gemini Spacecraft in Heathen, che parla davvero di un viaggio a bordo di una navetta spaziale. L’ho fatto come omaggio a lui, perché quel sfottuto Ziggy Stardust ha preso il nome da lui.

IS: Interessante davvero. Ho sempre saputo del tuo interesse verso l’arte outsider, ma non sapevo che esistesse la musica outsider. 
DB:
La musica outsider sta diventando un genere ben definito, anche se il termine musicale deriva in qualche modo dall’espressione pittorica. Ne vedo l’influenza in band che mi piacciono molto, come Grandaddy e Sparklehouse. Mi sono sempre interessato in musica outsider da quando ho sentito Syd BarrettLittle Richard è stato a modo suo il primo outsider – non è mai stato uguale alle altre icone del rock’n’roll.

IS: Da giovane, eri un vero outsider? 
DB:
Non penso di essere stato un vero outsider. Mi piaceva interpretare i miei miti e poi dire che vivevo in una grotta, ma ero solo un tipo timido. Ma di fatto mi relazionavo a persone che non erano come nessun altra. Mi incoraggiavano loro, dal momento che vedevo la mia timidezza come una colpa o un difetto. E tu sai che, in Inghilterra, gli outsiders o in generale gli eccentrici sono guardati con affetto: Mentre invecchiavo, cose come The Outsider di Colin Wilson mi hanno interessato. Mi piacciono le opere di Colin Wilson. Non sono mai legato molto alle cose che piacciono a tutti. Non era il mio mondo. Non sono mai stato un tipo tradizionale.

IS: E quando sei letteralmente esploso per le masse… 
DB:
.. fu fatto con un sacco di idee strane. Mi piace essere populista, prende le cose che vengo da fuori, l’avanguardia, le cose che stanno a margine, e renderle accessibili: Molte idee strane finirono nei miei primi lavori, dal Living Theater al teatro kabuki, dal travestimento al mimo. Era come un’istantanea, un poupourri dei miei interesse in quel particolare momento.

IS: Ma il rovescio della medaglia – le cose più comuni e gli interessi commerciali hanno bisogno di sopraffare i tuoi interessi individuali e il tuo personale punto di vista? 
DB:
Succede. Ho trascorso degli anni ’80 davvero brutti. Ho fatto davvero delle cose stupide, perso completamente la bussola. Ho fatto un paio di album subito dopo Let’s Dance che sarei molto felice di non dover ascoltare più – il caso strano è che hanno venduto molto! Erano terribili, in parte a causa dell’apatia in parte perché stavo facendo quello che io pensavo gli altri si stessero aspettando da me, cosa che non avevo mai fatto prima. Poi dall’inizio degli anni ’90, sono tornato di nuovo in pista.

IS: Quindi a volte, quando hai fatto cose di cui la gente ha detto “Non è commerciale, sarà un insuccesso”, non ti sei infastidito? 
DB:
No no, assolutamente no.

IS: In Heathen c’è un pezzo nuovo che si chiama A Better Future. La concezione del futuro è stata una parte importante dei tuoi lavori per molto tempo. Raccontaci come questo viene raffigurato in Heathen.
DB: 
A Better Future è stata scritta per mia figlia. E’ un pezzo molto semplice che dice “Dio, se non cambi le cose, non ti amerò più”. Non c’è modo di scansare questo argomento – è come dire ! Che ci stai facendo? Perché hai fatto in modo che mia figlia sia nata in un mondo con tanto caos e disperazione? Voglio un futuro migliore o non mi piacerai più!. E’ una minaccia a Dio! (ride) Ci sono poche minacce a Dio in questo album, davvero, ma molte suonano come canzoni d’amore.

IS: Le canzoni hanno una doppia vita. 
DB:
Sì, ne hanno bisogno. Ma lo so perché le scrivo. Molte parlano della mia vita spirituale, niente più. E’ il karma. Se puoi essere al posto giusto nel momento giusto, questo è quello che devi fare, no?

Ingrid Sischy

Autore

  • DBI Crew PIC Profile 2

    La Crew al timone di David Bowie Italia | Velvet Goldmine è formata da Daniele Federici e Paola Pieraccini. Daniele Federici è organizzatore di eventi scientifici ed è stato critico musicale per varie testate, tra cui JAM!. È autore di un libro su Lou Reed del quale ha tradotto tutte le canzoni. Paola Pieraccini, imprenditrice fiorentina, è presente su VG fin dall'inizio e lo segue dagli anni '70. Entrambi hanno avuto modo di incontrare Bowie come rappresentanti del sito.

    Visualizza tutti gli articoli
Sottoscrivi
Notificami
guest

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Più vecchio
Più recente I più votati
Feedback in linea
Visualizza tutti i commenti