David Bowie a Sanremo | 20 Febbraio 1997

David Bowie Sanremo 1997 testata

David Bowie a Sanremo 1997: l’artista inglese per la prima volta sul palco dell’Ariston, apre la terza serata del Festival presentando una versione accorciata del brano Little Wonder, il singolo tratto dal suo nuovo album “Earthling”.

Mike Bongiorno lo presenta emozionato: “Non mi è mai successo di presentare uno spettacolo presentando un mito… Pensate, è un cantante così famoso da essere l’unico quotato in Borsa”

L’APPARIZIONE TELEVISIVA

David Bowie, l’ unico vero divo a Sanremo

L’ UNITA’ – Venerdì 21 febbraio 1997

Biondissimo, sorridente, felice. Se la categoria degli “splendidi cinquantenni” cercasse un rappresentante ideale, David Bowie sarebbe una scelta naturale. Di passaggio a Sanremo per promuovere il suo nuovo album, Earthling, il Duca Bianco si concede alla stampa. Per raccontare le nuove delizie del drum’n’bass che esplode dal suo disco. Parole chiave: spontaneità, arte e, naturalmente, money. Ecco l’ uomo che cadde su Sanremo. 

di Roberto Giallo

SANREMO. Cap Ferrat. Come un gioiello in uno scrigno, David Bowie se ne sta tranquillo in un albergone elegante della Costa Azzurra, a Cap Ferrat, coccolato a vista da guardie del corpo e discografici, in attesa di suonare al Festival. Compare di colpo tutto di nero vestito, biondissimo, con quegli occhi uno azzurro e uno blu che gli danno (pure!) Un’aria sorniona. Qualche anno fa si era definito “oscenamente felice”, e il suo sorriso dice subito che si sente ancora così. In più, sembra un ragazzino, segno inequivocabile che il rock mantiene giovani. Ghigna e scherza, disponibile finché una Erinni multinazionale fa cenno, burbera, che il tempo è finito, e se lo porta via.

Bowie, ha un’idea di dove capiterà questa sera, in che tipo di manifestazione canterà?
No, francamente non ho la minima idea di che spettacolo sarà, e altrettanto francamente non mi interessa. Tengo moltissimo a questo mio nuovo disco e voglio fare ogni sforzo per promuoverlo a dovere. La casa discografica mi ha assicurato un’audience altissima e questo va benissimo. Quello che mi interessa è far sentire la mia band, la migliore che ho mai avuto. Per noi 7.000 o 40.000 persone è la stessa cosa, stiamo bene ovunque, indipendentemente dal contesto.

Parla come se avesse trovato la sua via dopo un decennio non proprio azzeccatissimo…
Negli ultimi dieci anni ho fatto molte cose. L’avventura con i Tin Machine mi ha dato molto, mi ha dato energia e una musica che aveva quel “tiro” che volevo. Ritengo molto importante quel che ho fatto negli anni Novanta, per cui sarebbe riduttivo dire che solo adesso ho trovato la mia via… Il disco, però, risulta in certi tratti strepitoso.

C’è un segreto? 
Si, c’è: la velocità. È un disco pensato, scritto e suonato in due settimane e mezza. Eravamo alla fine del tour, io e la band eravamo al settimo cielo. Abbiamo detto: ingabbiamo subito questa energia spaventosa che abbiamo addosso e tre giorni dopo il tour ci siamo chiusi in sala. Volevo proprio questo: una fotografia dell’energia che il tour aveva tirato fuori. Questo spiega anche come mai i testi sono poco più che armature di contorno alla musica, quello che mi interessa è il suono. E questo suono è molto migliore di quello che c’è in dischi molto più meditati.

Jungle music, drum and bass, elettronica… I giornali inglesi hanno già scritto: ecco Bowie che rincorre i giovani!
Ah, ma insomma! E quale sarebbe allora la mia musica? Anche tutti i giovani che oggi fanno questa musica un paio d’ anni fa sono entrati in un mondo non loro. È una critica che potrei forse accettare dai caraibici che vivono a Londra, ma credo che non sia importante dove uno prende la roba, ma quel che ne fa. Ecco, io ho preso molto da quei suoni, ma poi il risultato è inequivocabilmente Bowie…

Beh, non si può dire che sia il suo primo approccio alla dance.
No, non si può proprio dire. E nemmeno all’elettronica. Da quando sono andato per la prima volta in Usa ho esplorato quel terreno. E anche il periodo tedesco, i Tangerine Dream, i Kraftwerk… Tutto si mischia. Vedi, credo che il rock sia davvero la più importante svolta artistica del secolo. Nessun altro, forse solo il cinema, ha lo stesso impatto, la stessa forza comunicativa. Ecco: è una forma d’arte che è arrivata davvero a tutti.

Ora è pure quotato in Borsa…
Certo, la parola magica è una sola: soldi. Ma l’idea è stata dei miei avvocati. Arriva un momento in cui i musicisti vendono i diritti sul loro catalogo e non ne sono più padroni. L’azionariato, i Bowie Bonds, mi sembrano migliori perché io resto padrone del mio repertorio, del mio catalogo, della mia arte.

Suona ancora il sassofono?
Sì, ci provo ancora. È uno strumento che mi piace molto. Inutile dire che adoro John Coltrane, ma anche certe sperimentazioni di Miles Davis quando introdusse le manipolazioni elettroniche sulla tromba.

I progetti futuri? Si era parlato anche del Pavarotti International…
Dopo la promozione partiamo con il tour, da marzo a dicembre. È vero, ero stato contattato per una partecipazione al Pavarotti International, ma ero sempre in giro a suonare e non ho potuto. Chissà forse ci sarà un’altra occasione.

Bowie, scusi la domanda. Come fa a essere così a cinquant’ anni?
Ma io non ci penso mai ai cinquant’anni! Tutti pensano che il talento degli artisti si affievolisce con l’età, ma non è vero. Non è il talento che va via, è l’entusiasmo. Per la vita, per la musica, per il lavoro. Però non è detto che succeda. Se penso a geni come Burroughs o Picasso… Io voglio lavorare fino alla fine…

IMMAGINI

David Bowie ha aperto la serata sanremese di ieri con “Little Wonder”.

L’ UNITA’ – Venerdì 21 febbraio 1997 di Alba Solaro

– SANREMO. È un Mike gasatissimo quello che apre la terza serata del Festival, che introduce come “un grande cantante quotato in borsa” il divo più atteso della kermesse, il Duca Bianco del rock. David Bowie, che a 50 anni è tanto bello da potersi permettere un taglio di capelli arancioni dritti in testa, arriva con la sua band, al fianco ha la statuaria Gail Ann Dorsey, al basso, con una mascherina nera sugli occhi; nell’Ariston rimbomba il ritmo teso del drum’n’bass, la voce agrodolce di Bowie che canta Little Wonder. Una lezione di stile che si consuma in pochi minuti. Appena un assaggio, ma di quelli che rialzano le sorti di una serata che sembrava di routine, e che invece si rivela assai più pirotecnica delle altre. E anche ricca di sorprese. La sorpresa per esempio di scoprire che a Sanremo c’ è anche Julian Lennon, il primo figlio di John Lennon (in Italia perché sta registrando a Roma un nuovo album prodotto dalla stessa casa discografica di Bowie, la Bmg), che è uguale al padre, stesso volto mite e occhialuto, ma che i teenager ammassati davanti all’Ariston in attesa di un Ragazzo Italiano o del clone di Enrico Papi, lasciano passare per il corso senza muovere un ciglio. Non così Bowie, che durante le prove del pomeriggio, vedendo Julian Seduto in platea, è sceso giù ad abbracciarlo……..

Altri titoli sui quotidiani di quel periodo…

La star inglese pubblica “Earthling”, album che alterna rock duro e melodia. Il 20 febbraio sarà super ospite del Festival
Il “Duca” Bowie si concede a Sanremo
Per la prima volta sul palco nazional-popolare. E nel nuovo disco maledice gli Usa. 
(di Mario Luzzato Fegiz, da Corriere della Sera 5 febbraio 1997)

Il 20 febbraio proporrà il singolo “Little Wonder” sul palco del teatro Ariston
Bowie, genio a Sanremo 
Intanto esce il nuovo Cd dance-rock “Earthling”
(di Marco Mangiarotti Il Giorno 5 febbraio 1997)

Il 20 febbraio sarà ospite a Sanremo con il nuovo album “Earthling”
Bowie, un Duca bianco sul palco dell’ Ariston
(di Gino Castaldo La Repubblica 5 febbraio 1997)

All’artista inglese l’onore di inaugurare la serata di ieri
Bowie come il Boss un’apertura da star
(di Flavio Brighenti La Repubblica 21 febbraio 1997)

Il Duca del rock, neo-cinquantenne, per la prima volta sul palco dell’Ariston
Bowie fa lo snob: il Festival? Non ho idea di cosa sia
(di Gloria Pozzi Corriere delle Sera 21 febbraio 1997)

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Autore

  • DBI Crew PIC Profile 2

    La Crew al timone di David Bowie Italia | Velvet Goldmine è formata da Daniele Federici e Paola Pieraccini. Daniele Federici è organizzatore di eventi scientifici ed è stato critico musicale per varie testate, tra cui JAM!. È autore di un libro su Lou Reed del quale ha tradotto tutte le canzoni. Paola Pieraccini, imprenditrice fiorentina, è presente su VG fin dall'inizio e lo segue dagli anni '70. Entrambi hanno avuto modo di incontrare Bowie come rappresentanti del sito.

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Gian Paolo Baru
Gian Paolo Baru
5 anni fa

Qualcuno era nel Cortile dell’Ariston quando è arrivato ed ha scattato foto ? Io c’ero ma non avevo macchina fotografica 🙁