Anche per esaudire le numerose richieste giunte in redazione, torniamo e volentieri – su Earthling, l’ultimo lavoro del camaleontico e inafferabile Duca Bianco che, in queste pagine ci racconta di come sia possibile realizzare un omicidio perfetto spacciandolo, da circa un trentennio, per un “rock’n’roll suicide”
DB come decibel, o drum’n’bass. DB come Duca Bianco, alias David Bowie. Dura 49 minuti Earthling, l’album con cui Bowie celebra in tempo reale il 50° anno d’età e un trentennio di avveniristica presenza sulla scena musicale. Artista dai mille interessi, Bowie sembra esistere da sempre in una storia dei rock che, volente o nolente, ha dovuto presto fargli spazio. E nella quale continua a distinguersi mostrando non la fissità di una maschera, ma una maschera dai molti volti, tutti somiglianti ad uno: il vero uomo Bowie. Insaziabile e senza pregiudizi, essere che guarda il mondo perché ne fa parte, con gli stessi interrogativi di ogni abitante dei pianeta Terra. Con una sola, sostanziale differenza: lui si chiama David Bowie e ha il privilegio di poter scegliere la sua strada, sia nella vita che nella musica. Quando parla dei rock, l’unico vero “starman” mai caduto sulla Terra – passaporto britannico a nome David Robert Jones, artist-card intergalattica a nome David Bowie – riesce ancora ad intenerirsi, pur sapendo che senza di lui, la storia dei rock non sarebbe mai stata la stessa.
Primo indizio, un sax: “Quando ero piccolo, il mio unico interesse era il rock’n’roll. Ho scoperto il rock a otto, nove anni, ascoltando Little Ríchard, Jimmy Reed, Chuck Berry e tuttii i grandi dell’epoca. Sentivo di voler assolutamente avere a che fare con la musica, ad ogni costo. Da bambino ricordo, mio padre macellaio mi anticipava degli spiccioli, per via della carne che avevo da consegnare… – sorride, e continua: “Ogni sabato mattina facevo il giro della consegne, in bicicletta. Invece di prendermi i soldi che avanzavano, chiesi a mio padre di risparmiarli per comprarmi un sax alto, di plastica. Avevo nove o dieci anni, e volevo unirmi al gruppo di Little Richard come sassofonista. Lo so che era molto sciocco .. Ma pensavo, ecco cosa farò quando lascerò la scuola. A quell’età sei convinto che tutto sia possibile. Ed è proprio così. Nel corso della mia vita, ho scoperto che l’impossibile non esiste“. Bowie, artista globale attirato e divertito da nuove tecnologie e sonorità connesse, ha ancora un rapporto di speciale intensità con l’espressione più fisica dei rock – o qualsiasi cosa stia diventando – proponendone anzi una personale altra via espressiva, valida per le febbrili ansie di fine millennio. Nel rispetto dell’estetica bowiana, nel camaleontico autocitazionismo di una creatività multidirezionale, la “password” indispensabile è stratificazione: di art-rock e hard-rock, già spedito nei ’70 a colonizzare il 2000; di vitalizzanti ventate jungle e tecno-supporti, che invitano a suonare “loud” ribadendo che “this is pop’; di quella danzabilità “white-soul” già sottoposta a “white-noise”, che accompagna Bowie dal r’n’b al d’n’b; di testi e argomenti sospesi tra individualismo ermetico e impegno di fine secolo, dotati di obliqua “contabilità” che rivela un altro ‘dopo la scienza”. Earthling è figlio indiretto delle direzioni di Outside, e nei piani dell’artista, precede la seconda parte del progetto con Brian Eno (previsto per settembre, dal titolo Contamination, non confermato) solo per via di un’energia non più rimandabile, cresciuta proprio durante l’Outside Tour.
“Il dinamismo che avevamo raggiunto alla fine del tour è stato determinante“, racconta Bowie. “Cinque persone stavano lavorando insieme dal febbraio ’96, io e miei quattro musicisti. Quello era il nucleo del gruppo di otto elementi che aveva iniziato l’Outside Tour, con problemi nelle grandi sale. Ho pensato che se avessi tolto il superfluo il suono sarebbe stato più diretto, e così è stato. Durante le ultime date mi sono reso conto di far parte di un gruppo di musicisti molto legati, che si stimavano. Siamo andati in studio quattro o cinque giorni dopo la fine del tour, per registrare più velocemente possibile e non perdere l’impeto. Non avevo intenzione di fare un disco così presto, ma le cose stavano andando così bene a New York che ho semplicemente cambiato idea. Fatta eccezione per le due canzoni più vecchie, l’album è stato composto in meno di dieci giorni. E’ successo tutto così velocemente. Un motivo in più per essere molto soddisfatto“. Anche sui palchi italiani, Reeves Gabrels (chitarra), Mike Garson (tastiere), Zachary Alford (batteria), la inquietante e affascinante bassista/cantante Gail Ann Dorsey (con tanto di crocifisso su mascherina), hanno confermato le sensazioni di Bowie, la durezza degli inserti chitarristici di Gabrels e gli impasti cybernoir, perfettamente intonati ai colori tematici di Outside. Vista la mutevolezza del personaggio, le novità dei concerti furono gli arrangiamenti in chiave drum’n’bass di pezzi come The Man Who Sold The World – pubblicata anche su singolo – e l’impatto junglista di Little Wonder. Naturalmente, le sorprese estive non erano finite: in settembre, David presentò esclusivamente su Internet un brano anticipatorio dell’imminente lavoro, che qualcuno di noi ancora pensava riguardasse il seguito di Outside. invece, le versioni di Telling Lies, nel mixing di Adam F e A Guy Called Gerald, suggerivano l’urgenza dei nuovo “drum’n’Bowie”, rivelandosi anche diverse dalla traccia presente in Earthling.
Nella rete del ragno di vetro
In ogni caso, nei primi quattro giorni oltre 46.000 utenti si sono connessi per l’ascolto, creando non pochi problemi ai “nodi” della rete. “Penso che l’idea di lanciare nuove composizioni attraverso la rete possa sembrare abbastanza pericolosa per le grandi compagnie, visto il loro concetto di profitto. Personalmente, l’idea mi ha molto eccitato. Così abbiamo realizzato tre diversi remix, li abbiamo presentati e la risposta è stata davvero incredibile. Il quarto mix, realizzato da me con Mark Plati, è quello incluso in Earthling ed è il mio preferito. Ha un’atmosfera dark, credo sia uno dei pezzi forti dell’album e risponde alle mie intenzioni. Telling Lies è sperimentale, una successione di cambiamenti. Abbiamo provato ad amalgamare più stili differenti in una sola canzone, e visto che volevo creare una sorta di ibrido tra jungle e rock, Telling Lies è stato il primo vero esperimento in quel senso. Avevo già iniziato ad usare il drum’n’bass e molti suoni industriali nei miei spettacoli, e questo si è naturalmente evoluto fino a dar vita a Earthling ma, detto sinceramente, non stiamo tessendo la bandiera dei drum’n’b. Non potremmo farlo, non siamo abbastanza hardcore. lo poi non lo sono mai stato. Amo piuttosto l’eclettismo della cose che faccio meglio“. A proposito di bandiere, è proprio con i colori della Union Jack che Bowie ha deciso di vestirsi sulla copertina dell’album, ritratto di spalle in futuristica e wellingtoniana marsina, sullo sfondo di un paesaggio virtuale computerizzato, lettere scomposte ad annunciare il titolo nel cielo. Quella che poi si rivelerà un’allusione a Battle For Britain (The Letter), è solo uno dei divertiti atteggiamenti di Bowie di fronte al nuovo compito che si sente di dover svolgere. Il campo dell’iperreale immagine è volutamente incompleto, ma forse, accanto al generale Bowie, una schiera di tamburini sta dando indicazioni per l’imminente scarica di breakbeats e una carica di ultrabass.
Manovra dimostrativa s’intende, perché nel mondo del grande camaleonte il tempo gira su un altro quadrante, puntualmente riportato nel disco con tutti i simbolismi necessari per indirizzare messaggi terreni agli abitanti del pianeta. E’ lasciare un altro autobiografico ritratto da terrestre eccellente. “Non sono completamente sicuro del motivo per cui abbiamo deciso di intitolare l’album Earthling. Credo che l’idea sia nata dal tentativo di descrizione di un uomo nel suo habitat sulla Terra. E credo che l’ironia di base non sia andata perduta. Il disco è pieno di doppi sensi e scherzetti, piuttosto divertente, credo. Anche se ognuno, in tutta onestà, può ritenere qualsiasi disco importante o meno. Non so. Questo è nato in maniera singolare, anche per me. Lavorare molto in fretta, scrivere velocemente e stare a sentire cosa era uscito fuori faceva parte del gioco. Abbiamo decollato e poi toccato terra a cento miglia all’ora. Durante le registrazioni, per mantenere il livello d’energia, suonavamo nel week-end in piccoli club. Credo che abbiamo davvero catturato quell’energia e che nell’album si senta. Oggi preferisco fare da me perché penso di intuire molto bene come dovrebbe suonare la musica. E visto che volevo fare una cosa decisamente singolare, credo che il mio carattere emerga fortemente in questo album, più che in altri dischi da me realizzati. Non voglio denigrare il lavoro del passato, molto dei quale era specificamente orientato ma, per ciò che sento, Earthling rappresenta davvero come sono in questo momento. Diretto, immediato e ben messo a fuoco. Canzoni potenti, ben espresse e senza fronzoli. Un approccio molto differente da Outside“.
Sulle tracce dell’hacker-detective
Un Bowie come sempre vulcanico e imprevedibile, sopportato abilmente da Reeves Gabrels, con lui dai tempi dei Tin Machine, oltre che da Mark Plati, manipolatore di successo già per Big Audio Dynamite, New Order, Babylon Zoo, Soul Coughing. Serve gente attenta e veloce per assecondare i cambiamenti dell’ex-Ziggy e hacker-detective futuribile, oggi già in corsa su nuove “piste”. “Amo davvero il rock’n’roll. Ma amo anche la narrativa, creare personaggi e scenari. Così sono attratto contemporaneamente da molti progetti, e cercare di mantenere tutto in equilibrio nella mente è un lavoro maledettamente difficile. Anche da ragazzo, lasciata la scuola, ho cercato di educare me stesso studiando tutto quello che mi colpiva: nuovi libri, nuovi autori, nuovi tipi d’arte. Tutto. E non essendo preparato per nessuna di quelle cose, non era necessario che ne scegliessi solo una. Facendo musica, per me era del tutto naturale disegnare le scenografie per gli spettacoli, i costumi ed il resto. E non ho mai smesso. Ho sempre lavorato con mezzi diversi. Raccolgo i modi con cui interpretiamo la nostra cultura. Ho una curiosità enorme e un desiderio bruciante di vedere il lavoro di altri artisti”. Quest’approccio “possibilista”, l’attitudine a rinnovarsi e a porsi in discussione, è evidente anche in Earthling, album tra i più sperimentali di Bowie e, allo stesso tempo, uno dei più godibili, senza essere semplice. “Abbiamo lavorato con i metodi utilizzati dalla dance. Reeves suonava qualcosa, poi lo trasferiva su una tastiera sintetizzata. Zachary trovava dei loops di percussioni e ci suonava sopra. Come alla fine degli anni ’70, cerco ancora di trovare la giusta combinazione tra tecnologia e strumenti “veri”. E’ questa la descrizione più completa e soddisfacente del mio modo di lavorare. Per un anno e mezzo, ci siamo dedicati a risolvere il problema di bilanciare campionamenti e loops, durante concerti o festivals, rispetto agli strumenti e alle voci. Questa combinazione fra tecnologia e presenza live dà una grande libertà sul palco e restituisce una grande forza che, mantenuta e canalizzata, in studio porta a risultati come Earthling“. Indagini in corso Il Bowie più “terrestre” degli ultimi anni, ha scelto Little Wonder come irresistibile singolo di lancio. Annunciato da “n° 1 al mondo” per i tre-minuti-tre di presenza sanremese, Bowie ha recitato la sua parte anche di fronte a 20 milioni di telespettatori italiani, che in massima parte ascoltavano per la prima volta sia la sua voce, che le raffiche di jungle-rock a sostegno del ritornello. Normale amministrazione per il primo cantante della storia a quotarsi in Borsa (esaurito dal primo giorno, il “David Bowie Bond” ha incassato 55 milioni di dollari), forte di un milione di copie vendute ogni anno solo come catalogo.
“Tempo fa ho scritto di getto dei versi. Mi serviva una piccola cosa – tornare a quando ero giovane e recuperare solo la metà dei mistero e dell’eccitazione che mi suscitava il rock che ascoltavo allora, a Londra. Fats Domino è l’esempio ideale, perché pur non capendo una parola di quello che cantasse, il mistero di quell’energia, il contrasto tra la sua voce e la musica producevano un’atmosfera creativa. Amo molto le forme e le associazioni poetiche libere, forse si sente in quello che scrivo. Little Wonder è un gioco sperimentale, scritto velocemente e pieno di battute, perché ho preso la storia di Biancaneve e dei sette nani e ho in- scritto il nome di un nano in ogni verso. Poi ho lasciato perdere i nani e ho cominciato con altri nomi, tipo Stinky – non riesce a trattenere una risata – e simili. Ce n’erano altri, Crappy, Humpy, Spunky.. Ma non li ho più usati“. A supporto del pezzo, un video fantasmagorico, non criminal-shock come le immagini per The Hearts Filthy Lesson, ma ugualmente rappresentativo di una peculiarità del Bowie artista totale: la voglia di stupire, riuscendoci in pieno. “Ho progettato il video di Little Wonder con Flora Sigismondi, che ritengo la più stupefacente tra i nuovi videoregisti. Lei è canadese, e il suo ultimo clip per i Marilyn Manson mi ha talmente colpito da non lasciarmi alternative. Credo che nel video abbia combinato un occhio meraviglioso, una grande sceneggiatura e delle riprese fantastiche, nonostante fosse piuttosto insolito il tipo di lavoro che le avevo suggerito, affiancandole un grande artista come Tony Oursler. Tony è conosciuto specialmente per la creazione di piccoli burattini che puoi trovare in una galleria d’arte come all’angolo della strada, sui quali proietta video con della facce. Le sue opere sono molto strane. Ha da poco tenuto uno spettacolo al Pompidou di Parigi e io sono un vera tifoso del suo lavoro straordinario. Naturalmente, anche lui ha proposto molte idee per il video, soprattutto di montaggio“.
Il referto dell’autopsia
A tre mesi dall’uscita dell’album, il singolo è Dead Man Walking, incalzante hardpop elettronico destinato a raccogliere i consensi nelle stazioni radio di tutto il mondo. “Dead Man Walking è stata scritta di getto e contiene riflessioni sull’invecchiamento. Di recente ho partecipato, con Neil Young, a un concerto di beneficenza. Neil ha suonato acustico, con due amici dei Crazy Horse. A un certo punto hanno iniziato a ballare lentamente, abbracciati, stretti in circolo, ed è stato tutto così intenso che mi sono commosso. Sembrava che evocassero i sogni e I’energia giovanile, per riprenderseli. E’ vero: “rock’n’roll will never die” come cantava Neil Young. Dead Man Walking è molto legata al ricordo di quel concerto, e ad altri ricordi. Il riff di chitarra per esempio, è il primo che qualcuno mi abbia mai insegnato. Era la metà degli anni ’60 e Jimmy Page partecipò ad una session con un mio gruppo dell’epoca. Lui era il chitarrista di studio di Shel Tammy e mi disse ‘prova a suonarlo, io non posso usarlo. Se ti piace, puoi averlo’ Il riff era davvero efficace e diventò The Supermen, in The Man Who Sold The Worid. Oggi l’ho ripreso“.
Giuri di dire la verità…
Anche il remix della canzone, operato da Moby e pubblicato con una rilettura d’n’b di I’m Deranged, conferma i nuovi orientamenti di Bowie e la sua adesione ad una corrente musicale in grande fermento, almeno in Inghilterra. “Da giovane ero affascinato dal rhythm’n’blues e cercavo di conferire una prospettiva spettacolare, da musical alla sua rappresentazione classica. Oggi i suoni industriali e il drum’n’bass sono i miei preferiti, e ciò che faccio non è molto diverso da allora. Per capire com’è nato questo interesse dobbiamo tornare un po’ indietro, al periodo di Outside. All’inizio dei ’90 ero molto colpito da ciò che stava accadendo a Londra. Quella nuova musica e tutta la scena “junglista”, mi hanno spinto ad esplorare uno stile. Volevo lavorare con quei suoni e mi sono avvicinato al groove in un paio di canzoni di Outside, come l’m Deranged e We Prick You. Alla vigilia dell’Outside Tour ho scritto Telling Lies, il mio primo vero tentativo di combinazione tra hard-rock e jungle. lo non sono affatto un purista, anzi. Tendo a fare di qualsiasi cosa un ibrido. Qualsiasi cosa che mi interessi e sia nelle mie possibilità, diventa un nuovo colore sulla tavolozza utile per il mio lavoro“.
Non si esclude nessuna pista
Un metodo di lavoro che lascia spazio ad ogni possibilità, rigidamente sincronizzato per ottenere il massimo e mantenuto flessibile, per inglobare tutto quanto possa contribuire a soddisfare quest’ansia creativa, anche l’imprevisto. David Bowie come Marcel Duchamp. “Quello che ho intenzione di fare e quello che poi ottengo alla fine del mio lavoro, possono essere cose in realtà molto differenti. Spesso entro in studio con idee precise e vorrei incorporare nelle canzoni cose come campionamenti, suoni della strada. Ma in studio succedono tante cose… Francamente, trovo che alcune delle cose più belle che ho fatto come musicista, erano degli sbagli. Intendo dire, cose che io non avevo intenzione di dire e che i musicisti non pensavano di dover suonare. Molto di tutto ciò nasce spontaneamente e alla fine entra a far parte del lavoro con un carattere fortissimo, spesso molto diverso dalle prime intenzioni. Prendi Looking For Satellites, dove ho usato le parole a caso. Le prime che ho detto, sono rimaste. Cose tipo “shampoo”, ‘TV”, ‘poison”, “boys own”, “cancer”.. Nonostante l’aria non-sense, è quasi la canzone più spirituale che abbia mai scritto. E oggi che la narrativa cristiana sembra allontanarsi sempre più da noi, di fronte alla prospettiva di imminente scoperta di civiltà extra-terrestri, penso sia importante rimettere insieme i pezzi delle nostre vite spirituali“. Il cinquantenne David Bowie, superstar conclamata, è uomo che non ha perso il senso della difficoltà di vivere. Guadagnato duramente il privilegio di poter parlare al mondo “terrestre”, si assume la responsabilità di metaforizzarne dolori e inquietudini di fine secolo, nel presente voracissimo e spietato che rischia di azzerare dolori e speranze. Cavalcando mode e imponendo stili, l’artista coglie l’attimo e alza il canto della possente Seven Years In Tibet, una delle sue migliori canzoni di sempre. “Volevo dire qualcosa sulla situazione in Tibet e, iniziando da una tecnica di cut-up, sono poi riuscito a trovare una forma compiuta. Già a 19 anni ero un buddista estemporaneo e sono rimasto da allora in contatto con Chime Yong Dong Rimpoche, che oggi lavora al British Museum. In quel periodo ho scoperto un libro, che mi ha accompagnato sino ad oggi – si tratta di Seven Years In Tibet, del tedesco Heinrich Harrer, uno dei primi occidentali a recarsi laggiù. La canzone è stato un modo per avvicinarmi agli avvenimenti politici dei Tibet, e sullo sfondo si respira la disperazione dei giovani tibetani, che hanno visto i propri familiari uccisi e che oggi vivono in miseria. Chiamo “fattoria fragile” l’anima del Tibet, mentre i “maiali” sono quei cinesi che negli anni ’60 l’hanno bombardato. E’ un momento molto forte di Earthling, probabilmente quello che preferisco“.
La soluzione del giallo?
Cut-up, mescolamento di tecniche, sovrapposizione e stratificazione digitale. L’artista globale è uomo in interfaccia, contempla più schermi, trasmette e riceve in web. “Ho iniziato a usare i computers nel ’93, come supporto al lavoro artistico. Mi piaceva disegnare con Paint Box e Painter, e con Kid Píx, piccoli programmi che consentono di dipingere linee e colori. Poco prima di incidere Outside abbiamo realizzato, tutti insieme, una pagina Web, scoprendo da quel momento l’oceano d’informazioni presenti su Internet. Abbiamo ricevuto una quantità enorme di pagine da parte dei nostri fans, e intendo sviluppare l’argomento. Ora consulto attentamente i commenti sulle pagine Web. Il verso dei disco in cui sono contenute le mie peggiori paure, in Battle For Britain, è rivolto proprio ai nostri fan: dont you let my letter get you down“. La formula di Outside è valida anche per Earthling. “Gesù Coso. Odio lavorare sulla tastiera – digita l’hacker Adler nel diario elettronico di Outside – Comunque, abbiamo qualche solvente di sicuro interesse uscito dal Mack-random. Sentite questo!“.
Il filo elettronico collega Diamond Dogs e la trilogia berlinese, Trent Reznor e il trialismo junglista. E David riprende la tecno-dance di Law (Earthling On Fire), il drum’n’metal di The Last Thing You Should Do, ripubblica Jump They Say secondo i Leftfìeld, prima dei nuovo capitolo con Eno, che lascia impronte novo-rock anche in Earthling. “I’m Afraid Of Americans l’ho scritta insieme a Brian Eno. Non è apertamente ostile nei confronti degli americani ma, più semplicemente, sarcastica. Ero a Giava, quando hanno aperto il primo McDonald’s dell’isola – siano maledetti! Qualsiasi cultura invasiva che tende ad omologare tutto mi deprime, come la costruzione dell’ennesimo Disney World e via discorrendo. Ecco cosa strangola le culture indigene e riduce l’espressione vitale“‘.
Un caso risolto
Forse la chiave di lettura di Earthling è proprio in quel buco bianco, sesso mutante o maelstrom virtuale che risucchia simbolicamente anche il dogma della Croce. E alle porte del terzo millennio, celebrato dall’angelo caduto Cobain e dalle discutibili sinfonie di Glass, richiesto dal cinema e protagonista insostituibile della scena contemporanea, David Bowie riflette sui suoi cinquant’anni. Più che di memorie, ha voglia di futuro. “Avere 50 anni è straordinariamente eccitante perché, onestamente, non so cosa accadrà. Sento che se dovessi tornare indietro preferirei fermarmi, dedicarmi alla scultura e alla pittura. Però sono ancora molto stimolato dalle mie possibilità di musicista e ho scelto di continuare su questa strada. Ci saranno periodi buoni e cattivi, lati negativi e positivi. E l’aspetto positivo è la sensazione-di_coínvolgimento che ci lega al presente. Se io fossi costretto a girare il mondo cantando le mie vecchie canzoni, crollerei. Non potrei più farlo. Tre o quattro anni fa, mi hanno chiesto di esibirmi in versione “unplugged”, ma era implicito che avrei dovuto cantare i miei standards, i miei classici. E sono determinato a tenermi alla larga da essi. E’ un esercizio particolare per me, perché voglio proprio vedere cosa sono capace di fare come rocker di 50 anni. Altri possono anche lasciarsi condizionare, io so quello che voglio e ho la possibilità di farlo. Cose come un ‘jukebox tour’ non mi interessano. Le farei solo alle mie condizioni e comunque avrei dei problemi. Vedremo in futuro“. E il futuro di David Bowie è un altro tour entro l’anno, coerente con le ultime direzioni elettroniche. “Siamo elettrizzati dall’idea di iniziare un nuovo tour. Questa volta non visiteremo i festival europei ma ci esibiremo anche in America. In Europa, ci hanno invitato a partecipare anche ad alcuni “rave” davvero imponenti, così alterneremo rave-parties e festival. L’idea di ricominciare mi rende felice“. Non c’è audiofilo, fan o critico che possa dispiacersi di questa vitalità creativa. Né chi possa prevedere gli sviluppi della storia. Earthling dovrà bastarci almeno fino alla prima metà di luglio, quando il tour toccherà l’Italia per alcuni concerti. Perché soltanto David Bowie è padrone della sua vita e dei proprio lavoro, e ha voglia di cantarlo al pianeta Terra. “Non riesco a vedere una vita senza attività creativa. Esibirmi, incidere, dipingere… Una dolce vita. Non posso prevedere quando smetterò di lavorare. Amo lavorare, mi piace davvero quello che faccio nella vita. Sì, è favoloso!‘.