Come l’artista disse alla rockstar | The Guardian, 18 aprile 2001

Quando David Bowie decise di costituire una galleria virtuale per studenti d’arte iniziò una discussione via e-mail con Tracey Emin* su argomenti come arte, droga e fama. Questa è una edizione trascritta per la stampa della loro corrispondenza.

DB: Sono un giovane studente del Surrey e mi piacerebbe fare strada nel mondo dell’arte. Potresti darmi qualche consiglio per favore? 
TE: Tu non sei un giovane studente del Surrey, tu sei David Bowie! Ma se lo fossi ti direi di trovarti un buon lavoro part-time se puoi, e dico un buon lavoro nel senso che possa esserti d’aiuto. Se desideri dei bei vestiti lavora in un negozio d’abbigliamento, se ti piace leggere lavora in una libreria, se cerchi del materiale d’arte a basso costo, allora lavora in un negozio che vende materiale artistico. Se vuoi imparare qualcosa nel campo dell’arte, diventa l’assistente di qualche artista. Se non puoi permetterti uno studio, porta sempre con te una macchina fotografica e un notebook. Se ti senti intellettualmente un po’ indolente, iscriviti ad un corso part-time – filosofia magari, linguistica o storia dell’arte – ma qualsiasi cosa tu faccia, non pensare che il mondo ti debba qualcosa. 

DB: Cosa indossi in questo momento? (E non mentire, perché ti posso vedere).
TE:
Indosso la giacca di una tuta dell’Adidas del 1996, un paio di jeans di Helmut Lang di due taglie più grandi, un paio di vecchie ciabatte consumate, slip neri M&S, biancheria costosa di Agent Provocateur, occhiali da sole blu di Calvin Klein, uno Swatch di plastica chiara, qualche gioiello d’oro e nessun tipo di make-up. Oggi è un giorno lavorativo.

DB: Ho incontrato Helmet Lang l’altra settimana. Fa un’insalata di rape davvero buona … Quando hai fatto una mostra al Cairo ed hai vinto il premio della giuria, hai detto: “alla fine è stato levato di mezzo un fantasma” Puoi spiegare cosa intendevi dire con quella frase? 
TE:
Intendevo che potevo tornare in Egitto come ospite del British Council e riuscire a riscattare una brutta crociera che avevo fatto sul Nilo nel 1997. Non sono una brava turista ed ero contenta di tornare in Egitto… 

DB: Pensi di più alla storia dell’arte ora che ti sei fatta un nome, rispetto a quando non eri nessuno?
TE:
Non sono mai stata veramente brava in storia dell’arte, e credo di non averla mai studiata sul serio. Non sono stata alla Tate fino all’età di 22 anni – non sapevo nemmeno dove fosse – ma mi interessai a Egon Schiele quando avevo quattordici anni, perché la copertina del tuo album Lodger era ispirata da Schiele. Da allora sono interessata all’Espressionismo tedesco. Ora naturalmente la prendo più in considerazione. Col tempo imparo più cose sulla storia dell’arte. Ma non credo che qualcuno diventi un’artista di successo imitando quanto è stato fatto prima.

DB: Devo dissentire. Penso che la maggior parte del lavoro degli ultimi dieci anni o giù di lì sia una riproposizione di materiale precedente. Tutti, da Nauman a Beuys, fino a Koons e Richter hanno saccheggiato e rapinato più di quanto possiamo immaginare. Sulle spalle dei giganti, e tutto il resto. Alcuni furti evidenti mi hanno lasciato un pò perplesso. Sebbene sia stato interessante vedere la riluttanza – o l’ignoranza – di molti critici professionisti ad accreditare le opere originali quando ce ne era magari bisogno. Comunque un “genio” evidente (in un’opera d’arte) è essenziale nel mercato dell’arte, altrimenti i prezzi non terrebbero e gli artisti sentirebbero di poter lavorare fuori dai limiti stabiliti della corrente commerciale dell’arte d’élite. Questo ora vale per tutti gli aspetti dell’arte, inclusa la musica. Tutto si trasforma in una specie di industria di surreali beni di lusso. Personalmente preferivo quando era una cosa un po’ più artigianale. La corruzione era meno evidente e c’erano dei più diffusi ideali. Se avevi degli ideali almeno. Non credo davvero che nessuna di queste cose durerà a lungo, e non penso che la memoria e la ‘struttura’ saranno importanti in futuro. Diverranno una specie di hobby o passatempo, e solo per quelli che ne faranno una scelta personale. La domenica sarà il Memory Day. Tutti quei ricordi saranno di certo ‘frullati’, così sarà tutto piuttosto comico e assurdo. Una popolazione di uomini e donne senza intelligenza e disgregati. Una cosa piuttosto eccitante a modo suo.
DB: Credi in una “verità”, o in qualcosa del genere?
TE:
Ci possono essere molte riposte a questa domanda. In termini filosofici ci sono due verità: contingente, e quella che è necessaria. La verità necessaria è quella incontestabile. Una domanda più corretta sarebbe: mento? La risposta è no.

DB: Che intendi con ‘incontestabile’? Credi che l’esistenza abbia una struttura? Da dove viene quella struttura? Pensi che “qualcosa” crei il bene e il male? Per quale motivo apri sempre il contenitore del latte dalla parte sbagliata? 
TE:
Non apro il contenitore del latte dalla parte sbagliata, ma ho scoperto piuttosto tardi che il sole non girava intorno a me. So di esistere, so che morirò, questa è una certezza, una verità, ma credo anche nella vita dopo la morte, e in questo non c’è certezza. Ho un odio estremo per le bugie ma qualche volta uno deve sopravvivere e usare tutti i mezzi a sua disposizione. Credo che quello che fai agli altri sia come farlo a sé stessi, mi sforzo continuamente di essere un essere umano migliore, ma è davvero difficile. Ci sono un sacco di brutte cose in questo mondo di cui siamo testimoni, ed è davvero difficile fermarle, è come se l’umanità fosse convinta nel distruggere sé stessa e il mondo in cui vive. Non sono una socialista ma credo nella distribuzione della ricchezza. Viviamo ancora in una struttura gerarchica e ce ne sarebbe ancora abbastanza per tutti. Solo un decimo del mondo è dannatamente avido, non vogliono condividere nulla con nessuno, ed è qualcosa che mi repelle: una incontrollabile cattiveria.

DB: Lavori puntando a una “verità”? 
TE:
Con il mio lavoro sono sempre relazionata con la verità, ma naturalmente tutto quello che faccio è curato e considerato, e il suo prodotto finale è molto calcolato. Ma la mia non è una falsificazione.

DB: Importa se menti? Come dici, il tuo lavoro è curato e manipolato al fine di produrre una certa prospettiva. Se tutte le nostre verità sono basate su una serie di falsificazioni infinite, allora restiamo alla ricerca di qualche misterioso “logo” di nostra invenzione? Una sorta di “profondo sentimento” per la verità? Non stiamo solo creando verità come tattica di sopravvivenza? 
TE
: ‘Certamente dio guarderà dall’altra parte oggi’ – suona qualche campana? Sì, è vero che la maggior parte di noi usa la verità quando gli fa comodo. So quando ho mandato tutto a fanculo, quando ho ferito delle persone, quando mi sono comportata in modo oltraggioso. Una buona parte della mia vita è stata solo uno schifo, ma anche uno stupido ora capirebbe che sta migliorando. La cosa strana è che la maggior parte dei miei errori è stata alimentata dall’alcool, specialmente da dosi massicce di whisky. Non bevo alcolici dal settembre del 1999. Una volta ti ho citato quella frase da L’uomo che cadde sulla Terra in cui dici al tuo autista: ‘Slow down, Arthur’. Allora mi dissi che non te la ricordavi. Eri in alti e bassi, sotto l’effetto di un miscuglio di droghe, solo perché ti permetteva di per poter tirare avanti. Credi che “essere fuori” favorisca il processo creativo, o è una leggenda? Intendo Van Gogh e l’assenzio, gli scrittori vittoriani e l’oppio, le rock star e la cocaina.

DB: Mmm … ho sperimentato droghe, e il lavoro non è mai lo stesso. Station to Station è stato un album sotto l’effetto delle droghe, Low e “Heroes” no, Never Let Me Down lo è stato. Tutto è in contraddizione.
TE: 
Mr. Newton, il personaggio che hai interpretato in The Man Who Fell to Earth, era ossessionato dallo zapping tra i canali televisivi, dalle invenzioni e dalle comunicazioni di massa. Trovi ora qualche strana similitudine tra te Mr. Newton?

DB: Era nelle intenzioni di Nic Roeg mostrare che per Newton fare zapping alla TV era soltanto un raccogliere e vagliare dati. Questo, per me, significa che per lo meno era interessato a quello che gli stava attorno. Ma nel 1975 non credo che io avessi la sua stessa passione per la “realtà”. Il mio unico interesse era per la “neve”. La mia “verità” stava da qualche parte tra dei stregoni extraterrestri e qualche buon grammo di droga. Facendo zapping di questi giorni, raduno il mondo intorno a Chris e Billie, Becks e Posh. Penso che le opere di Beckett abbiano ritratto la vita come la conosciamo, con molta accuratezza. Hai visto qualcuna di quelle opere? 
TE:
Un pò di una in cui una donna dondolava avanti e indietro su una sedia, facendo un soliloquio molto lungo, la trovavo noiosa. Ma tutti sappiamo che Beckett è un genio.

DB: Era Rockaby. Non l’ho trovato così noioso. Ero pietrificato, e pensai che Penelope Wilton fosse squisita. Era bella, da spezzarti il cuore e genuinamente patetica. Voglio dire, sono molto più vecchio di te. Ho anche amato Play. Da non perdere. Non ho ancora visto Happy Days, ma ha un dialogo meraviglioso. Qualcosa come: “Sapere solo in teoria che mi hai sentito, anche se di fatto non lo hai fatto, è tutto quello di cui ho bisogno”. Penso che potremmo entrambi farlo nostro. 
TE:
Sei stato coinvolto con internet sin dall’inizio. E’ dovuto al tuo stato di superstar? Sono certa che è difficile per David Bowie andare nei negozi e comprare un giornale, quindi la rete è un buon modo per mantenere uno stretto contatto con la vita di tutti i giorni?

DB: “Difficile andare nei negozi”? Accidenti Trace! E’ divertente e anche un po’ preoccupante che sei così vittima del Tabloid Nation al pari degli altri. Devo osservare un po’ più attentamente il tuo lavoro. Dopo tutto quello che hai fatto, è davvero un problema per te entrare in un negozio? Per me, nella downtown di New York, e senza l’invadente stampa inglese all’attacco ventiquattro ore al giorno, è un problema inesistente. Esco più volte al giorno da queste parti, sebbene poi trovi molto comodo il fatto di avere una bella fila di taxi me nel caso mi sia fatto male una caviglia.
TE:
Sei serio? E’ quello che mi ha detto il mio gallerista di New York quando gli ho chiesto se David Bowie è famoso nella Grande Mela. Sono lieta di sapere che le cose sono tanto piacevoli per te a NY, perché quando ero a Dublino con te e Iman, in cerca di Books of Kells, la gente sveniva sul posto. Sono una persona davvero tranquilla e non infastidisco le persone, ma devo ammettere che perlomeno ti chiederei un autografo. Una volta mi hai detto che il miglior modo per muoversi a Londra è sui mezzi pubblici. Tutto quello che devi fare è indossare un berretto e leggere un giornale greco. Così, quale travestimento indossi oggi David? Non mentire, perché ti posso vedere.

DB: I miei sentimenti sono sempre molto evidenti. 
TE: Hai sempre desiderato la fama? E’ qualcosa che augureresti a tua figlia?

DB: L’ho certamente sognata quando ero giovane. Desideravo quella celebrità che ti porta a un buon posto al ristorante. Nient’altro. L’essenza della fama sembra essere cambiata ultimamente. Mi rendo conto che non ti permette di avere nemmeno un biglietto per Madonna oggigiorno. Così non la raccomando ai miei figli. Comunque la soddisfazione e l’eccitazione per il lavoro di qualcuno è la cosa migliore. Ora la celebrità. E’ un veleno del tutto diverso. No, Tracey? Dai su… dimmelo.
TE:
Tua figlia ha quasi un anno ora. Essere nuovamente padre alla tua età, come si relaziona con i tuoi “golden years”? 

DB: Lei effettivamente già li condiziona. Una maggiore profondità della vita è inevitabile, è chiaro. Pensare al bene di Alex. Cercare di immaginare come crescerà. Cercare costantemente di aiutarla. Tutto questo. Trovo che la mia musica abbia acquistato una certa forza, piuttosto aggressiva. E’ anche più violenta, Tracey. E per questo non so se ti piacerà. Sono sorpreso della piega che ha preso. 
TE:
Nella mia vita la tua musica ha avuto una grande influenza su di me. Ricordo che una volta all’età di quattordici anni, dopo aver bevuto una bottiglia di sherry, ho vomitato sul finale di Rock’n’Roll Suicide, anni più tardi navigavo sul Nilo ascoltando a tutto volume Young Americans sul walkman.

DB: Ricordo anch’io di aver vomitato alla fine di Rock’n’Roll Suicide. Ricordo di aver vomitato alla fine di alcune canzoni. Ah, i vecchi giorni, eh? Quanti ricordi sono racchiusi nella parola “pop”. Ogni persona può recuperarli attraverso la propria collezione di dischi. Un ritratto in musica degli abitanti di ogni strada di Londra sarebbe davvero un bel pezzo. Un cd da ogni casa indicando venti dei loro migliori e peggiori ricordi illustrati attraverso la musica, per due generazioni. 
TE:
Ti ho sempre considerato un artista, non un musicista. Perché per te è importante portare avanti dei visual works?

DB: Sono solito creare un’opera per un determinato spazio. Voglio qualcosa per andare in una determinata area di questa o quella stanza. Si dice che una galleria d’arte ha bisogno di solo dieci opere, sei quadri e quattro sculture. Lavoro per riempire uno spazio vuoto. Potrebbe essere metafisico. Non so se sia arte. Non sono guidato. 
TE
: Ora che utilizzi il tuo sito, Bowieart.com, per promuovere giovani artisti, ti spiace che il tuo nome sia una istantanea approvazione per queste persone? Sei sicuro che essi credano in ciò che fanno, e che non dipendano troppo da te?

DB: Beh, tu conosci gli artisti, i Goldsmiths per esempio, che in questo momento sono presenti sul nostro sito. Pensi credano in quello che fanno? Quanto è semplicemente esibizione di se stessi, quanto è sentito col cuore? Immagino un po’ di entrambe le cose. Gran parte del lavoro è buono. Per quale motivo un artista dovrebbe credere di essere parte di quello che sto sperimentando come osservatore? Quando la lavorazione di un’opera d’arte è terminata, quella esperienza appartiene soprattutto a me. Se voglio arricchire quell’esperienza conoscendo il suo artista, dovrei scegliere di fare solo quello. Ma il più delle volte sono abbastanza soddisfatto di guardare un oggetto anonimo. Senza la storia, senza una qualche ‘verità’ ad esso collegata. Spesso le spiegazioni degli artisti riguardo il loro lavoro sono fandonie. Per quel che riguarda la mia partecipazione e il mio aiuto, sono molto fiero del fatto che il nostro sito permetta a giovani artisti di esibire le proprie opere e di vendere i loro lavori senza pagare alcuna commissione. Trovo che il sostegno sia fondamentale per creare l’artista di questi tempi, non credi? Se c’è mecenatismo o buona copertura giornalistica, è per coloro che possono gridare forte.

NOTE

* Tracey Emin è nata nel sud dell’Inghilterra nel 1963. Da quando è fuggita da casa all’età di 15 anni vive e lavora a Londra, dove ha frequentato la scuola d’arte Maidstone Art College. Artista eccentrica, utilizza prevalentemente la tecnica patchwork, ma è autrice anche di numerose performance negli Stati Uniti e in Europa, anche in Italia. Le sue opere manifestano senza censure un’analisi del proprio ego che si scontra con la violenza del modo esteriore. Nel 1995 nasce a Londra il Tracey Emin Museum al 221 di Waterloo Road. “Odio il mio lavoro perché rappresenta la mia solitudine e non ho altro al di fuori della mia arte”.

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