Stardust memories | Rockstar, Novembre 1999

Sospeso nel tempo, David Bowie ripercorre insieme a “Rockstar” i suoi ultimi trent’anni. Dal rock degli Anni Settanta fino all’ultima trasformazione. Ziggy, il punk, la letteratura, gli Who, i Tin Machine, la tecnologia, il drum’n’bass, lnternet, il nuovo disco. Un calderone che ribolle sul fuoco della nostalgia. 

David Bowie Hours 1999 Ockenfels

Quando ad inizio anno, David Bowie è stato insignito della laurea ad honorem dal Berklee College of Music, ha parlato della forza vitale che gli ha dato fare musica. Incontrarlo presso gli uffici newyorchese della Virgin è un’ulteriore conferma di ciò che ha detto in occasione di quella cerimonia. Sprizza energia e gioia di vivere, da tutti i pori ed è entusiasta di parlare praticamente di qualsiasi argomento venga proposto.

E’ insolito incontrare un personaggio del suo calibro che non si preoccupa tanto di promuovere il suo ultimo LP bensì, come del resto è sempre avvenuto con Bowie, di promuovere l’artista e non, appunto, la sua arte. Questo non vuol dire però che non valga la pena parlare di Hours. Le ballate che propone sembrano infatti evocare la malinconia nostalgica precedente a Ziggy Stardust, mantenendo però allo stesso tempo l’imperturbata accessibilità di Black Tie White Noise, l’album che nel 1993 segnò il suo ritorno.

Tuttavia, per ricevere attenzione da parte del suo autore, Hours deve competere con numerosi altri progetti. L’ album è infatti collegato a ‘Nomad Soul‘, un gioco, per computer in uscita in autunno, inoltre Bowie è impegnato a dirigere la sua casa editrice ed il provider di Internet.

Il lavoro che hai svolto nel corso degli ultimi dieci anni sembra aver riaffermato la tua passione per il rock in quanto forma. Ma cos’è che ti attrae? La sua versatilità, l’eleganza o la comunicazione? Pete Townsend una volta l’ha descritto come qualcosa simile ad un sonetto: si deve rispettare una forma fissa.
Sì sono d’accordo con Pete. Per ironia della sorte ho cenato con lui proprio una settimana fa. Era appena tornato dall’America. Penso che sia uno dei migliori nei rock. Mi piace il modo in cui definisce il rock e il suo modo di lavorarci su. Sono d’accordo nel definirlo il sistema di comunicazione più immediato che si possa avere in musica, Inoltre all’interno di quelli che sembrano dei parametri alquanto limitati, anche a livello temporale, si possono esprimere molti concetti. Il rock è un veicolo, quello che ho sempre preferito!

Bene. L’ultima volta che ti ho visto in un festival a Frauenfeld, tu…
Scusa. Posso chiederti cosa hai appena detto? Sei sicuro che sia il rock la mia musica, e non il pop. Perché io non credo che sia il rock. Il rock ovviamente rientra in ciò faccio, ma penso di essere molto più un autore pop che rock, anche se in ciò che faccio incorporo il rock. Che ne pensi?

Bella domanda. Penso che in Hours ci sono alcune canzoni che sono senza ombra di dubbio rock, come ad esempio: “The Pretty Things Are Going To Hell“. Credo che tu stia tornando al rock.
E’ vero, è un brano rock, ma allo stesso tempo ha una grande sensibilità pop. Sono un forte stimatore del grande pop, ma amo anche il buon rock. Non c’è nulla di puro in quello che faccio. Per questo penso che musica popolare sia un termine migliore per definirmi, dato che cerco sempre di incorporare coraggiosamente diversi stili. Non essere mai stato fedele ad un tipo di musica mi ha sempre dato la possibilità di essere molto libero come autore. Bene, andiamo avanti.

Hai sempre avuto molta presa sul pubblico e con il servizio offerto su lnternet non hai fatto altro che amplificarla.
E’ un rapporto sintetico, ma è meglio di niente. lnternet ormai viene utilizzato per tutto e questo mi piace molto. Non so dire cosa stia accadendo in realtà. E’ qualcosa di alquanto sovversivo che sta riscrivendo le regole nella relazione tra artista e pubblico. Mi piace che ci sia qualcosa di questo tipo a mettere i bastoni tra le ruote.

Negli anni Ottanta questa relazione si era persa. La gente non sapeva più come comunicare. C’era per lo più il video che però, ha mostrato tutti i suoi limiti, secondo me.
Assolutamente. lnternet era la grande idea che aspettava di diffondersi, anche se esisteva già a quel tempo, e se io fossi stato un po’ più attento, mi ci sarei avvicinato prima. Ora comunque ho sposato dei tutto la causa di Internet. La amo. A pensarci bene noi siamo stati il primo grande gruppo rock che, negli anni Ottanta, durante una tournée mondiale, si è servito della posta elettronica per comunicare con l’ufficio di New York. Era il 1983. Quindi sono stato proprio pazzo a non rendermi conto che ci lavoravo già a quel tempo. Sono stato coinvolto prima di altri da lnternet e dai computer, perché ho avuto sempre intorno persone che erano molto prese da lnternet e che mi ripetevano che mi stavo perdendo la nuova forma di comunicazione. Sono stati loro a farmi avvicinare alle nuove tecnologie.

In riferimento al tuo rapporto con il pubblico, ricordo che due anni fa, durante un concerto, suonasti tutti i vecchi brani che in occasione del tour “Sound + Vision” (1990) avevi giurato che non avresti più eseguito. L’hai fatto per giocare con le aspettative dei pubblico oppure perché volevi prepararlo al ritorno al passato del nuovo LP?
L’ho fatto per essere gentile (ride). Mi spiego. Abbiamo suonato 4 o 5 canzoni tra quelle che avevo giurato di non suonare mai più, è vero, ma voglio precisare che è un mio diritto cambiare idea quando mi pare (ride come un ragazzino). Io sono quello che cambia le carte in tavola e ciò fa parte del mio essere un postmoderno vate disfunzionale di fine secolo. In quell’occasione, siccome stavamo suonando una gran quantità di materiale sconosciuto, ho pensato che proporre 3 o 4 brani riconoscibili fosse carino. Al momento e per il prossimo futuro non c’è comunque all’orizzonte la possibilità che io faccia un altro tour dedicato ai miei greatest hits. Sono alquanto soddisfatto del modo in cui stiamo lavorando e stiamo raccogliendo i frutti di ciò che ho fatto nel corso di questi ultimi 2-3 anni. Sto dando inoltre agli altri la possibilità di riconoscermi come artista.

Voglio aggiungere che anche i concerti di Outside sono stati fantastici. Quello di Zurigo è stato forse il migliore che ho visto. La versione di Hallo Spaceboy poi.. 
Grazie. In Outside c’erano delle gran belle canzoni. Mi piace proprio ciò che ho fatto negli anni ’90, davvero. Devo dire che sin dagli inizi, da Black Tie White Noise in poi, ho scritto e registrato al meglio delle mie possibilita’ e credo che questo sia il massimo che un’artista possa fare. Negli enni ’90 non sono mai entrato in studio con un atteggiamento demotivato. Avevo sempre uno scopo preciso, sapevo perché mi trovavo lì e questo di adesso è stato un ritorno a come ero. Almeno credo. E’ stato con i Tin Machine che mi sono rimesso in carreggiata. Certo, è stato un esercizio, ma di valore. Non credo che adesso farei ciò che sto facendo se non avessi messo assieme quel gruppo e non fossi stato spietatamente deciso su ciò che dovevamo produrre. Forse, per chi l’ha vista dal di fuori, questa operazione non ha funzionato, ma per me, in quanto artista, è stata una delle cose migliori e devo aggiungere che attraverso le richieste che si hanno su Internet c’è una sorta di rivalutazione del progetto Tin Machine, per me riproporlo è fuori discussione.

Tin Machine è forse l’esempio più ovvio del cambiamento concettuale che gli ha fatto seguito. Me ve ne sono altri. Ai tempi di Outside hai detto di voler pubblicare un LP l’anno fino al 2000. (Bowie ride sonoramente). Ma queste dichiarazioni le fai per te? Hai bisogno di formalizzare un’idea in pubblico per riuscire a lavorarci meglio?
Mi offre qualcosa su cui lavorare. Probabilmente perché sono un autore ultraprolifico. Ho la tendenza a comporre troppo. In questo mi sento molto simile a Prince, dato che entrambi riusciamo a scrivere molte canzoni ed io cerco sempre di trovare un modo per proporle. Così scelgo l’idea e la rendo pubblica per poi aggiustarla strada facendo. In un certo senso è come dici. Penso che per me questo sia un modo per avere chiarezza. Di solito il risultato è diverso da come avevo preventivato, ma fa parte di un gioco in cui non sai mai bene cosa stia effettivamente accadendo.

Credo sia stato Hegel a dire che le idee vengono fuori solo dall’interazione o dalla conversazione. Capisci cosa voglio dire?
Sì, credo. Non progetto mai un manifesto di intenti. Di solito le cose che decidiamo di progettare e realizzare sono casuali. Per quanto riguarda la serie di Outside, avevo tutte le intenzioni di completarla in tempo, solo che non è stato possibile. Tutto qui. Vorrei provare a rivedere le 25 ore di materiale che abbiamo, ma nel frattempo continuano ad accadere altre cose: mi è venuta l’idea per l’album Earthling, poi mi è stato chiesto di lavorare a questo gioco, “Nomad Soul“. Arrivano di continuo nuove proposte che me ne fanno mettere da parte altre. Anche Eno è cosi.

A proposito di “Nomad Soul”: la gente ti ha pressato affinché sviluppassi un nuovo personaggio e più o meno nel 1993 dicesti che ci stavi pensando, ma eri anche troppo felice di essere te stesso. 
Sì.

Tuttavia nel gioco “Nomad Soul” ti è stato dato questo personaggio che è completamente diverso, separato da te. 
Secondo me questo avviene proprio perché è un gioco e questo tipo di giochi al momento sono unidimensionali. Ci si aspetta che siano così. Questa è una delle prime cose che io e Reeves abbiamo notato quando siamo stati coinvolti in questo gioco. Così abbiamo deciso di prendere la strada opposta a quella che si sceglie quando si fa musica per un gioco, dove si punta a un caos organizzato molto veloce per una musica aggressiva, potente. Noi abbiamo deciso invece di sviluppare qualche nozione di emozione, un certo grado di umanità nei personaggi, per cercare di bilanciare il tutto. La scorsa settimana ho visto per la prima volta alcuni dei concerti che sono stati inseriti nel gioco e mi sono piaciuti. Ho trovato tutto favoloso. Sono soddisfatto del risultato e penso che la gente ne sarà un po’ sorpresa. Una cosa che probabilmente non è stata ancora detta è che abbiamo scritto altri 25 pezzi che sono stati inseriti nel gioco. Non sono solo canzoni, perché abbiamo curato anche i brani strumentali. Nel gioco c’è una gran quantità di musica, musica che spazia da pezzi umorali alquanto esoterici a quella più classica – pompata – dei computer games. Nel gioco è presente un ampio spettro di musica che, spero, possa offrire anche un ampio spettro di emozioni.

Su Q ho letto un articolo dedicato a questo gioco in cui si diceva che avevi intenzione di presentarti con il tuo vero nome, David Robert Jones. 
Ah, mi piace. Mi piace proprio. Forse è qualcosa che dovrei prendere in considerazione. Non sono affatto contrario a questa ipotesi. Potrebbe essere molto interessante vedere cosa accade se David Bowie torna ad essere David Jones e si lascia alle spalle Bowie come personaggio sintetico, un po’ come avviene nel libro di William GibsonAidoru“. L’hai letto? Sì, posso proprio sposare questa idea. Vediamo cosa accade. Posso farlo. Devo dire che nei video che sto realizzando per l’album ho giocato con l’idea di due David Bowie. Sto lavorando con un ragazzo che sembra proprio il David Bowie diciottenne. C’è molta azione tra i due Bowie, quello maturo, cinquantenne, ed il giovane. A questo punto mi chiedo se nel prossimo Lp posso tirare fuori quello più vecchio e lasciare esibirsi quello più giovane. In realtà, si tratta di una cosa abbastanza tradizionale. Ricordo una scena di Elephant Man (a Broadway, nel 1980), mi fu chiesto se volevo andare a una festa. Io dissi di sì, che mi faceva molto piacere a allora mi fu anche chiesto se mi andava di suonare. Io risposi: ‘Oh, potete portare i Coasters?’, che erano una band di r&b degli anni Cinquanta. Mi fu detto che si sarebbe fatto il possibile e quando sono arrivato alla festa ho trovato la band che già suonava uno dei bellissimi motivi dei Coasters. Sul palco però avevano tutti circa 35 anni. Pensai che non erano i Coasters, ma suonavano come loro. Così, quando durante la pausa ebbi modo di parlare con loro, mi dissero che esistevano ben cinque gruppi denominati Coasters, che lavoravano tutti per la stessa agenzia e che andavano in giro per il mando ad eseguire i brani dei Coasters. lo pensai che comunque non aveva importanza perché tre quarti delle persone presenti non avevano idea di chi fossero realmente i Coasters e tantomeno quale fosse il loro aspetto. Cosi quei ragazzi potevano benissimo essere i veri Coasters! E’ quest’area relativa a ciò che è reale e ciò che si accetta come reale che… Beh, forse in questa età di grandi opportunità tecnologiche si può dare vita con un certo successo ad una situazione tipo ‘Aidoru‘. In Giappone un personaggio di un cartone animato è diventato così popolare tra i bambini che adesso fa anche dei video e delle pubblicità.

“Aidoru” è stata una meravigliosa estensione dei concetto di fama. Perché mai la rockstar Rez dovrebbe essere più reale di Idoru che è completamente artificiale?
Sì, sono d’accordo.

Stavo pensando a quando abbiamo iniziato la nostra conversazione parlando dell’aspetto rock della tua musica. Hai sempre avuto una forte relazione con i chitarristi e così nella tua musica si sente ancora questo rapporto tipo Jagger-Richards o Daltrey-Townshend, anche se alcuni tuoi brani non si adattano alla vena rock. 
Si, ma è proprio questo che intendevo quando ho detto che uso solo alcuni aspetti dei rock e con questo voglio ancora sottolineare che spero di non lasciarmi alle spalle gli stili che ho suonato. Mi piace poter non saltare troppo da uno stile all’altro e utilizzarne di nuovi. A metà anni Settanta, ad esempio, avevo una forte passione per la musica soul che si è evoluta in Young Americans, e ancora oggi sento in ciò che faccio echi di quei mio periodo. Non l’ho abbandonato, ho solo fatto tesoro di quello che ho imparato con quello stile, lavorando con quei genere di musica. Spero proprio di riuscire ad ampliare la tavolozza con cui lavoro piuttosto che passare semplicemente da una cosa all’altra, perché non credo che se questo fosse avvenuto la mia musica si sarebbe potuta evolvere come ha fatto. Ciò che faccio è in un certo senso assimilare tutto ciò che tocco. Lo provo e poi prendo i veri punti di forza tendendoli parte dei processo, strumenti per scrivere le canzoni.

E le canzoni sono proprio forti. Questa mattina, dopo aver riascoltato Earthling mi sono ritrovato a canticchiarne i brani. 
E’ stupendo, molto positivo. E’ proprio quello che io e Reeves volevamo aggiungere a musiche, techno e drum ‘n bass, che riteniamo tremendamente eccitanti. Come ben sai quello non è stato infatti solo un album di drum ‘n bass. E’ stato costruito intorno a suoni techno ed elettronici, abbiamo lavorato con frammenti e suoni sintetici. Ciò che volevamo fare era dare la forma canzone a tutto questo e credo che siamo riusciti a farlo in modo più che soddisfacente. Sul momento non riuscivo a pensare che il drum ‘n basa potesse avere in sé una forma canzone. Adesso ritengo che ci sia arrivato, mi piace pensare che ciò che abbiamo fatto sia stata un’indicazione. Penso che siamo stati i primi a fare una cosa del genere. E’ in questo che risiede l’importanza di Earthlíng e l’effettivo sforzo creativo di Little Wonder.

E’ una grande canzone. 
E’ perfetta anche per essere suonata dai vivo. E’ proprio riuscita, la gente ha dato un ottimo responso..

Non vorrei insistere troppo sulla questione dei rock, ma quando ad inizio anni Settanta hai parlato con William Burroughs su ‘Rolling Stone”… 
Oh, sì!.

Dicesti di ritenere il rock particolarmente importante in Gran Bretagna e Germania dove i legami familiari si erano già dissolti. Forse però non è più il rock a rivestire questa funzione tribale, ma la techno. Che ne pensi? 
Sono quasi del tutto d’accordo. Non credo che il rock abbia adesso il ruolo di chiamata alle armi rivoluzionaria che ha avuto tra gli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta. Con la caduta dei punk, si è iniziato a ripensare alla funzione dei rock. Con l’avvento di gruppi come i Talking Heads, il rock è diventato qualcosa di molto intellettuale. C’è stata un’empatia completamente nuova tra la letteratura, le altre forme d’arte ed il rock. Poi negli anni Ottanta tutto questo ha generato nuove opportunità di carriera. In breve, credo che sia questo che è avvenuto. Ciò che è rimasto adesso è come ciò che è accaduto con il libro che, dopo aver iniziato a diffondersi tra il popolo nel XVII secolo come potere della parola scritta in sé, è diventato qualcosa di cui ci si serve per passarsi delle informazioni perdendo così l’aspetto rivoluzionario. Il rock secondo me è diventato la stessa cosa, è soltanto un veicolo per trasmettere informazioni. Il suo posto, in qualità di forza rivoluzionaria, adesso lo sta prendendo lnternet. I ragazzi ne sono entusiasti perché innanzi tutto sanno di averne il controllo assoluto nella capacità di utilizzo ed inoltre questo sistema non ha alcuna regola. Queste due opportunità per me si prestano ad essere la nuova rivoluzione.

Ma non è musica, perché la musica non è più in grado di svolgere questo ruolo, non è vero? 
No, non penso sia così. Si sta cercando di far pensare che questo posto possa essere preso dalle arti visive, ma non credo che avverrà. Per quanto gli artisti possano rendersi perversi e devianti vengono deteriorati dagli aspetti istituzionali delle arti visive. Questo comunque avviene anche in campo musicale. Non appena si sviluppa una nuova forma, in un paio di settimane si trasforma in una formula. E’ avvenuto ad esempio con il rap, con l’hip-hop e virtualmente con tutti i generi. La musica adesso non riesce più a trovare uno spazio che la possa far essere qualcosa di veramente rivoluzionario.

Per concludere, puoi dire qualcosa sui tuoi progetti futuri? Ho sentito dire che stai per mettere in scena un’opera a Salisburgo. 
Ho litigato con il regista. Lo reputo una persona poco piacevole e non ho molta intenzione di lavorare con lui (accenna una risata). Mi piace invece molto Robert Wilson e forse riuscirò a lavorare con lui. Se riusciamo a realizzare qualcosa insieme non credo però che si farà a Salisburgo. Un tipo di lavoro dei genere è qualcosa che sia a me, che a Robert piacerebbe molto fare, ma ancora una volta il problema è che entrambi siamo già molto impegnati da altri progetti ed è difficile trovare il tempo per concretizzare queste buone intenzioni.

Non si tratterebbe comunque della versione rimaneggiata di “Ziggy Stardust” di cui una volta hai parlato, vero? 
No, è una cosa completamente diversa. Quasi sicuramente sarebbe basata su Outside. Non credo che si cambierà idea. lo e Robert ne abbiamo già parlato. Per quanto riguarda “Ziggy” è stato già deciso: sarà pronto per il 2002 in tre formati. Voglio che sia un film, che vada sul palcoscenico e che, più o meno in contemporanea, circoli su lnternet. Ogni formato sarà diverso a livello di trama e contenuti. Ma considerato nell’insieme dovrebbe risultare un lavoro interessante.

David, grazie per questa chiacchierata. 
E’ stato un piacere.

J. Nicholas Joyce, traduzione a cura di Max Prestia

Autore

  • DBI Crew PIC Profile 2

    La Crew al timone di David Bowie Italia | Velvet Goldmine è formata da Daniele Federici e Paola Pieraccini. Daniele Federici è organizzatore di eventi scientifici ed è stato critico musicale per varie testate, tra cui JAM!. È autore di un libro su Lou Reed del quale ha tradotto tutte le canzoni. Paola Pieraccini, imprenditrice fiorentina, è presente su VG fin dall'inizio e lo segue dagli anni '70. Entrambi hanno avuto modo di incontrare Bowie come rappresentanti del sito.

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