01 | The Wedding | 5:04 |
02 | You’ve Been Around (David Bowie, Reeves Gabrels) | 4:45 |
03 | I Feel Free (Pete Brown, Jack Bruce) | 4:52 |
04 | Black Tie White Noise | 4:52 |
05 | Jump They Say | 4:22 |
06 | Nite Flights (Noel Scott Engel) | 4:30 |
07 | Pallas Athena | 4:40 |
08 | Miracle Goodnight | 4:14 |
09 | Don’t Let Me Down & Down (Tahra Mint Hembara) | 4:55 |
10 | Looking for Lester (David Bowie, Nile Rodgers) | 5:36 |
11 | I Know It’s Gonna Happen Someday (Morrissey, Mark E. Nevin) | 4:14 |
12 | The Wedding Song | 4:29 |
Tutti i brani sono composti da David Bowie eccetto dove indicato.
Informazioni
Data di Uscita
5 Aprile 1993
Registrazione
Mountain Studios (Montreux, Svizzera), 38 Fresh Recordings (Los Angeles, USA) e
the Hit Factory (New York, USA) – Giugno/Settembre 1992
Produzione
David Bowie, Nile Rodgers
Recensione
Dopo il matrimonio con Iman, avvenuto nel 1992, Bowie ricomincia la sua carriera solista lavorando a un disco che finirà e uscirà l’anno successivo (in realtà il lavoro era iniziato da prima, visto che le due versioni di The Wedding sono rielaborazioni della musica composta per la sua cerimonia nuziale).
L’anno prima aveva visto esplodere il grunge (che già covava nell’underground da qualche anno) con conseguente svolta a sinistra delle classifiche rispetto al dominio del pop leccato che aveva segnato il decennio precedente. Bowie, che già aveva fatto questa svolta nell’89 con Tin Machine, invece di provare a condurre il rock passatista del gruppo sulle strade nuove del White Noise di Seattle e dintorni, preferisce la Black Tie di un’altra bella novità del ’91, i Massive Attack di Blue Lines, mentre rivolge l’altro orecchio a quel cocktail di jazz, funk, elettronica, dance e hip-hop che di lì a poco verrà battezzato acid jazz. E per orientarsi chiama di nuovo a produrre Nile Rodgers, già artefice del best-seller “Let’s Dance“.
Ma l’esperienza Tin Machine non è passata invano e ha lasciato in eredità, oltre a Reeves Gabrels che tanta parte avrà negli splendori di metà anni novanta del nostro (e che qui è presente solo nella tesa You’ve Been Around), anche un Bowie di nuovo presente e attivo nel lavoro di elaborazione musicale in studio. Prova ne è il diverso rapporto col produttore rispetto all’esperienza dell’83, quando gli affidava le canzoni praticamente in toto: qui Bowie controlla a bacchetta la voglia di Rodgers di fare un altro blockbuster – già con il gruppo, infatti, il Nostro aveva deciso di smetterla di fare la rock star da stadio in competizione con i vari mostri da classifica – limitandosi a farne fruttare le grandi doti di arrangiatore e di direttore del suono.
E sebbene il tutto risulti comunque pop (i rockettari duri storcono il naso tuttora), sebbene questo disco non sia ai livelli dei capolavori che furono né di alcuni successivi, l’operazione di prendere un genere emergente e ricondurlo agli stilemi bowiani è condotta con gusto, ispirazione e mano sicura, mostrando come i dischi degli anni ottanta, oltre che brutti fossero sbagliati, e come pop non significhi per forza “Tonight“.
Dopo una bella You’ve Been Around e le sue sinuose e incalzanti linee di basso, “Black Tie White Noise“ si dispiega tra il singolo Jump They Say (commosso ricordo di suo fratello e dei trattamenti disumani che aveva subiti a causa di disturbi mentali), le leggerine Miracle Goodnight (che Rodgers voleva come singolo) e Don’t Let Me Down & Down, il pop pigro e teso allo stesso tempo della title-track (che parla degli scontri di Los Angeles), l’anticipo del disco successivo nella trance elettronica (non riuscitissima, in verità) di Pallas Athena, la splendida cover di Nite Flights del maestro Scott Walker, una di Morrissey scarnificata dell’enfasi di archi dell’originale, il duetto agognato da tempo col quasi omonimo freejazzista Lester Bowie degli Art Ensemble of Chicago in Looking For Lester (che visti i risultati fu invitato a far imperversare la sua tromba anche su altri brani).
E a proposito di Morrissey, la sua canzone era in un disco prodotto nientemeno che da Mick Ronson, proprio lui il quale, con la I Feel Free dei Cream già nelle scalette del ’71 e qui stravolta secondo i dettami del disco, fa in tempo a tornare a suonare su un disco di Bowie per la prima volta da “Pin Ups” e dare così l’ultimo saluto all’amico fu-Ziggy, prima di andarsene sconfitto da un male incurabile.
Il disco vendette bene in Inghilterra (Jump They Say è stato l’ultimo singolo di Bowie a raggiungere la top ten), ma negli USA le vendite risentirono della bancarotta dell’etichetta Savage per cui era uscito.
di GiulioPk
Musicisti
David Bowie
(voce, chitarra, sax)
Pugi Bells, Sterlin Campbell
(batteria)
Barry Campbell, John Regan
(basso)
Richard Hilton, Dave Richards, Philippe Saisse, Richard Tee
(tastiere)
Lester Bowie
(tromba)
Michael Reisman
(arpa, tubular bells)
Gerardo Velez
(percussioni)
Al B Sure!
(voce in Black Tie White Noise)
Reeves Gabrels
(chitarra in You’ve Been Around)
Mick Ronson
(chitarra in I Feel Free)
Mike Garson
(piano in Looking For Lester)
Wild T Springer
(chitarra in I Know It’s Gonna Happen Someday
Fonzi Thorton, Tawatha Agee, Curtis King Jr, Dennis Collins, Brenda White-King, Maryl Epps, Frank Simms, George Simms, David Spinner, Lamya Al-Mughiery, Connie Petruk, David Bowie, Nile Rodgers
(cori su I Know It’s Gonna Happen Someday)
CREDITI
Nick Night
(foto di copertina)
Peter Gabriel
(foto delle sessioni)
Reiner Design Consultants
(design artwork)
Jon Goldberg
(ingegnere del suono)
Gary Toole, Andrew Grassi
(ingegneri addizionali)
Louis Alfred III, Lee Anthony, Neal Perry, Andy Smith
(assistenti ingegneri)
Michael Reisman
(arrangiamenti archi)
Budd Tunick
(coordinatore di produzione)