Trans-Europe Excess | Uncut n. 47, aprile 2001 (quarta parte)

Questa parte in realtà non riporta testi pubblicati sul numero citato sopra di Uncut, ma presenta le interviste fatte via email a Tony Visconti e a David Bowie, dalle quali è poi nato l’articolo di Uncut. Le interviste sono state pubblicate da Records Collector nel marzo 2001. L’intervista in fondo alla pagina con Brian Eno nasce da due interventi pubblicati in un numero della rivista francese Les Inrockuptibles del 1992 e dal New Musical Express nel 1987.

TRADUZIONE

QUARTA PARTE

INTERVISTA A DAVID BOWIE

UNCUT: Molte ipotesi sono state fatte sul tuo trasferimento a Berlino; la scena locale artistica e musicale, le pressioni dello star-system, la disintossicazione spirituale e fisica – più lo stimolo creativo di vivere in una città nervosa, isolata e divisa. Queste teorie sono appropriate? Ti ricordi che cosa ti aveva affascinato della città?
BOWIE: La vita a Los Angeles aveva generato in me un opprimente presagio di sventura. L’abuso di droga mi aveva condotto sull’orlo dell’abisso una volta di troppo ed era necessario intraprendere una qualsiasi azione positiva. Per molti anni Berlino mi aveva attratto come una sorta di santuario. Era una di quelle poche città in cui potevo muovermi in virtuale anonimato. Stavo andando in bancarotta, e quella città non era cara per viverci. Per qualche ragione, ai berlinesi non importava nulla. O meglio, nulla a proposito di un cantante di musica rock inglese… Fin dalla mia giovinezza ero ossessionato dal lavoro emozionale, guidato dalla rabbia, degli espressionisti, sia artisti che registi, e Berlino era stata la loro casa spirituale. Questa città era la culla del movimento Die Brucke, di Max Rheinardt, di Brecht e dove originarono inoltre Metropolis Caligari. Quella espressionista era una forma artistica che riproduceva l’esistenza non come evento, ma come stato d’animo. Era questa la direzione verso cui percepivo stava andando il mio lavoro. La mia attenzione si era nuovamente diretta verso l’Europa con l’uscita di ‘Autobahn‘ dei Kraftwerk. La preponderanza di strumenti elettronici mi aveva convinto del fatto che dovevo investigare quest’area in modo più approfondito. Molte cose sono state scritte dell’influenza del gruppo tedesco sui nostri albums berlinesi. La maggior parte delle quali superficiali, credo. L’approccio dei Kraftwerk alla musica ha in sé stesso uno spazio limitato nel mio schema di lavoro. Le loro erano robotiche, controllate ed estremamente misurate serie di composizioni, quasi una parodia del minimalismo. Uno si faceva l’idea che Florian e Ralph controllassero totalmente il loro ambiente, e le loro composizioni fossero estremamente preparate e curate prima di entrare in studio. Il mio lavoro tendeva invece ad una sensibilità di tipo espressionista, il protagonista del quale (me stesso) si abbandonava alla ‘zeitgeist’ (un termine popolare ai tempi), con un controllo minimo od inesistente sulla propria vita. La musica era per la maggior parte spontanea e creata in studio…In sostanza, quindi, eravamo su poli opposti. Il sound delle percussioni dei Kraftwerk era prodotto elettronicamente, rigido nel tempo, statico. Il nostro era un trattamento tecnologico di un batterista emotivamente potente, Dennis Davis. Il ritmo non solo era ‘dinamico’ ma era anche espresso in modo più ‘umano’. I Kraftwerk accompagnavano quelle statiche percussioni meccaniche con la generazione di suoni sintetici. Noi utilizzavamo un gruppo rhythm and blues. Sin da ‘Station to Station‘ la ibridizzazione del rhythm and blues e dell’elettronica erano stati un mio obiettivo. E senza dubbio, secondo una intervista rilasciata da Brian Eno negli anni Settanta, questo è ciò che lo ha portato a lavorare con me… Un’altra osservazione superficiale che vorrei sottolineare, tuttavia, è l’assunto che ‘Station to Station‘ costituiva un omaggio a Trans Europe Express. In realtà il mio album anticipò quello dei Kraftwerk di parecchio tempo, 1976 e 1977 rispettivamente… In ogni caso il titolo deriva dalle Stazioni della Croce e non dalle stazioni ferroviarie… Ciò che mi colpiva a proposito dei Kraftwerk era la loro singolare determinazione di staccarsi dalle sequenze stereotipate di accordi della musica americana e il completo e totale abbraccio della sensibilità europea disseminato all’interno della loro musica. Questa fu l’influenza più importante per me… Parentesi interessante. La mia scelta originale per il chitarrista di Low fu Michael Dinger dei Neu! Essendo i Neu! passionali, anche diametralmente opposti ai Kraftwerk…Telefonai a Dinger dalla Francia nei giorni iniziali delle registrazioni, ma nella maniera più cortese e diplomatica mi rispose ‘No’.

U: Alcuni biografi sostengono che l’era berlinese costituì una reazione istintiva all’ethos del punk-rock della metà degli anni Settanta – vestito in modo dimesso, brutale, serioso, maledetto, emozionalmente rozzo -. Una teoria plausibile?
B: Fosse a causa del mio cervello annebbiato o della mancanza di impatto della varietà inglese del punk sulla scena americana, l’intero movimento era virtualmente concluso dal momento in cui ne divenni consapevole. Completamente saltato. I pochi gruppi punk che vidi a Berlino mi fecero pensare ad una sorta di Iggy Pop post 1969 e sembrava appunto che lui avesse già fatto tutto ciò. Eppure, mi dispiace non essere stato spettatore del circo Pistols poiché questo tipo di intrattenimento avrebbe fatto molto di più di qualunque altra azione avrei potuto pensare di fare per il mio animo depresso… Ovviamente li ho incontrati quasi subito quando ero in tour con Iggy, perlomeno Johnny e Sid: John era ovviamente in soggezione di Jim, ma Sid era quali catatonico ed ebbi una pessima impressione di lui. Era così giovane e così bisognoso di aiuto. Musicalmente, Low e gli altri album della trilogia derivavano direttamente dal brano ‘Station to Station‘. Mi ha spesso colpito il fatto che vi sia sempre un brano in ogni mio disco che rappresenti un indicatore di come sarà l’album successivo.

U: Vi furono concrete ipotesi di registrare con i Kraftwerk, come insistono certi biografi? 
B: No, mai stati. Ci incontrammo socialmente alcune volte, ma questo fu tutto ciò che feci.

U: È vero che percorrevi le superstrade ascoltando ‘Autobahn’ in continuazione, come disse un tempo Ralf Hutter?
B: Certamente sulle strade di Los Angeles nel 1975, sì. Ma per quanto riguarda le autostrade berlinesi, quella era acqua passata.

U: Vi furono alcuni incontri od ipotesi di collaborazione con gli altri gruppi ‘Krautrock’ come i Cluster, i Neu! o i Tangerine Dream?
B: Per nulla. Ho conosciuto socialmente Edgar Froese dei TD e sua moglie, ma non ho mai incontrato gli altri; siccome avevo le idee chiare su quello che mi occorreva in studio a Berlino non avevo alcuna intenzione di andare a Dusseldorf. Introdussi di mia iniziativa Eno al sound di Dusseldorf di cui fu molto affascinato, ed inoltre anche Connie Plank dei Can ed altri (anche i Devo che mi erano stati presentati da Iggy) e Brian, infine, si decise a registrare con alcuni di loro.

LOW
U: Percepito generalmente come il tuo disco emozionalmente più onesto, ma più infelice. Questa interpretazione è accurata?
B: Si, era un periodo davvero terribile per me. Ero all’estremo delle mie risorse, sia fisicamente che emozionalmente ed avevo seri dubbi sulla mia sanità mentale. Ma questo accadeva in Francia. In definitiva, ho acquisito un tangibile senso di ottimismo passando attraverso la cortina di disperazione di Low. Posso udire me stesso nel disco lottare disperatamente per star meglio…Il periodo berlinese rappresentò per me la prima volta in molti anni in cui provai la gioia di vivere ed una grande sensazione di liberazione e di benessere. E’ una città grande otto volte Parigi, ricordatevi, ed è così facile “perdersi” e contemporaneamente “ritrovarsi.

U: E’ vero che il Chateau d’Herouville era visitato dai fantasmi di Chopin e George Sand e che rifiutasti di dormire nella camera principale perché era stregata? Tutto ciò ebbe qualche effetto nella registrazione dell’album? 
B: Era un posto spettrale. Ho rifiutato una camera da letto perché la trovavo eccessivamente fredda in alcune sue parti. A mio parere, tuttavia, quel posto non ebbe influenza sulla forma e tonalità del lavoro. Lo studio era gioioso, di aspetto piacevolmente antico e confortevole. Mi piaceva molto.

U: Vi sono voci che Robert Fripp partecipò alle registrazioni di Low, ma non fu menzionato: È vero? Inoltre, vi sono altre voci che affermano l’esistenza di versioni alternative di brani con testi differenti – e’ vero e se sì, perché?
B: Fripp non partecipò alle registrazioni. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, se fossero state utilizzate liriche differenti da qualche parte, allora sarei stato sicuro che costituissero testi provvisori o “parole chiave” per identificare una melodia che intendevo utilizzare. Ricordo di aver cantato liriche scherzose su alcune melodie, ma è una cosa che faccio spesso quando si genera in me una certa “sensazione” dalla quale intendo far partire la scrittura del testo. Tony le ha certamente cancellate o vi ha registrato sopra quando ho cantato i testi definitivi. Non sono a conoscenza dell’esistenza di versioni alternative di quei brani.

U: Il distico in “Breaking Glass” che comincia con “Non guardare il tappeto…”, si riferisce ai tuoi disegni di simboli della Cabala sul pavimento a Los Angeles?
B: Si, è una immagine simbolica. Si riferisce contemporaneamente alle immagini cabalistiche dell’albero della vita ed alle sedute spiritiche

U: E’ vero che Weeping Wall, Subterraneans e Some Are provenivano dalla tua abortita colonna sonora di The Man who fell to Earth? 
B: L’unica cosa della colonna sonora abortita che in realtà utilizzai fu la parte di basso suonata al contrario in Subterraneans. Tutto il resto fu scritto appositamente per Low.

HEROES 
U: Generalmente considerato come un album più energico e positivo rispetto a Low. E’ corretta questa affermazione?
B: E’ meno introspettivo e suonato con maggiore energia. Ma per quanto riguarda i testi mi sembra più psicopatico. Vivevo ormai stabilmente a Berlino e così il mio umore era buono. Addirittura, allegro. Ma quei testi provenivano da una nicchia del mio inconscio. C’era ancora un bel po’ di casa da pulire, temo.

U: Il disco fu per la maggior parte scritto in studio e completato in pochissime registrazioni. Esatto? C’era un intento preciso dietro questo metodo?
B: Un paio di brani furono esclusivamente registrati una sola volta. Credo che il resto dei brani fu eseguito due o più volte sino a che non si fosse raggiunta una “sensazione” ottimale. Con musicisti così prestigiosi le note non furono mai oggetto di discussione e così puntammo sulla “sensazione” come priorità… La maggior parte delle parti vocali fu registrata una sola volta, spesso scritta nell’attimo dell’esecuzione. Mi mettevo le cuffie e, in piedi davanti al microfono, ascoltavo il verso precedente, buttavo giù qualche parola significativa che mi veniva in mente, e registravo improvvisando. Quindi ripetevo il processo per la sezione successiva. Era qualcosa che avevo imparato lavorando con Iggy e, ritenevo, un modo veramente efficace di spezzare la normalità nello scrivere i testi.

U: Si è spesso detto che la copertina del disco costituì un riferimento all’autoritratto di Gramatte, o al dipinto Roqairol di Heckel – quale delle due affermazioni è corretta? Ed il dipinto di Heckel ispirò anche la copertina di The Idiot di Iggy Pop? 
B: Roquairol ed anche la sua stampa del 1910 o giù di lì chiamata Young Man costituì una delle più grandi influenze per me come pittore. Personalmente non sopporto Gramattè. Non era né carne né pesce. Ho visto il ritratto in questione ma no, era Heckel.

U: C’è una connessione creativa tra la scuola di pittura del movimento Die Brucke e questo disco?
B: Dispiegata altrove, spero.

U: Eno afferma che avete trascorso la maggior parte delle registrazioni imitando le voci di Peter Cook e Dudley Moore, che le registrazioni furono una risata unica e che David si cibava virtualmente di un uovo al giorno. E’ vero?
B: Abbiamo certamente avuto i nostri momenti di risatine convulse come gli scolaretti. Credo che “per tutto il tempo” sia però un po’ esagerato. Tuttavia, penso che abbiamo interpretato Peter e Dud piuttosto bene. Lunghi dialoghi a proposito di John Cage che suonava su una “piattaforma preparata” al Bricklayer’s Arms alla Old Kent Road e cose così. Piuttosto sciocco. Mangiavo decisamente bene poiché il mio consumo di droghe era praticamente nullo. Consumavo un paio di uova crude per iniziare la giornata o per terminarla, con inframmezzate discrete razioni di cibo. Tanta carne e verdura, grazie mamma. Brian iniziava la giornata con una tazza di acqua bollente nella quale tagliava grosse fette di aglio. Non era divertente cantare con lui allo stesso microfono.

U: Storie conflittuali. Il brano ‘Heroes’ fu ispirato da:
(a) due amanti che David scorse nei pressi del Muro di Berlino
(b) Toni Visconti e Antonia Maas darsi un bacio nei pressi del Muro
(c) Il dipinto di Otto Muller ‘Gli amanti tra le pareti del giardino’
(d) Tutte queste cose
(e) Nulla di tutto ciò? 

B: Preferirei che Tony rispondesse a questa domanda.

U: Storie conflittuali. Il brano Blackout si riferisce al collasso di David a Berlino o all’interruzione di energia elettrica a New York nel 1977? Entrambi? Nessuno dei due? 
B: Si riferisce indubbiamente all’interruzione di energia elettrica. Non posso affermare in tutta onestà che fosse quella di New York, sebbene sia molto plausibile che quell’immagine mi entrò nella mente (bisognerebbe controllare le date delle registrazioni dell’album e del blackout di New York per poter dare una risposta affermativa).

U: ‘V2 Schneider’ – un tributo a Florian?
B: Certamente.

LODGER 
U: Un disco che divide profondamente i fan di Bowie – straordinariamente amato o totalmente indifferente -. Puoi spiegare queste reazioni? 
B: Ritengo che anche Tony sarebbe d’accordo nel sottolineare la scarsa cura nel missaggio del disco. Tutto ciò aveva a che fare con il sottoscritto distratto dagli eventi personali della propria esistenza e credo che Tony perse un po’ di entusiasmo perché Lodger non ebbe la stessa genesi positiva di Low ed “Heroes“. Vorrei dire, comunque, che vi sono un certo numero di idee molto importanti in Lodger. Se avessi un po’ più di tempo le potrei descrivere, ma ritengo che possiate farlo voi facilmente.

U: Il distanziarsi dal puro suono elettronico costituiva una strategia deliberata per staccarti dai gruppuscoli synth-pop che imitavano pesantemente i suoni di Low e “Heroes’? 
B: Credo sia la mancanza di brani strumentali che dia l’impressione che l’approccio all’album fosse differente. In realtà non fu così. Fu molto più incasinato. Brian ed il sottoscritto suonammo vari “trucchi artistici” al gruppo. Non ebbero esito troppo favorevole. Specialmente con Carlos, il quale tende ad essere un po’ ‘grandioso’.

U: Il brano All the young dudes suonato al contrario per la registrazione di Move on fu originariamente un incidente? E questo brano ha qualche connessione con il brano Moving on di Iggy Pop che non fu mai completato?
B: Non fu proprio un incidente ma capitò per caso. Avevo azionato uno dei miei registratori a bobina al contrario per sbaglio e mi piacque abbastanza la melodia che veniva generata. E così suonai un bel po’ di brani in questa maniera e ne scelsi cinque o sei che mi sembravano interessanti. Dudes fu l’unico che venne utilizzato per il disco, poiché non avevo intenzione di abbandonare la ‘normale’ scrittura dei brani che stavo utilizzando. Ma costituì un esercizio importante per la mia mente. Quel pezzo ha lo stesso titolo di un brano che scrissi per Iggy. Ma siccome il titolo del brano di Jim era provvisorio, lo utilizzai per un brano di Lodger.

U: Il refrain finale di Red Money – progetto cancellato – ha un significato particolare? Il sipario tirato sulla trilogia di Eno? 
B: Per nulla. Solo una fantasia.

U: Cosa significa “minaccia sonora”? 
B: Piccoli suoni come il frinire del grillo che Brian produsse dalla combinazione della mia drum machine (ero e sono solito usarne una quando compongo da solo) ed il suo sintetizzatore portatile. Li puoi udire in African Night fly.

U: Il tuo spostamento a New York era dovuto al fatto che Berlino aveva compiuto il proprio scopo? La scelta di New York fu dovuta a ragioni musicali? 
B: Non avevo intenzione di lasciare Berlino, ho solo dovuto allontanarmi. Forse mi sentivo meglio. Fu una esperienza irrimpiazzabile ed imperdibile e probabilmente il periodo più felice della mia vita sino ad allora. Coco, Jim ed io trascorremmo tanti momenti memorabili. Non è possibile esprimere la sensazione di libertà che provai in quel luogo. In parecchie occasioni noi tre saltavamo sull’auto e guidavamo come dei pazzi attraverso Berlino Est, infilandoci nella Foresta Nera e fermandoci in ogni piccolo villaggio che catturava la nostra attenzione. Lo facemmo per giorni e giorni. Oppure ci dedicavamo a lunghi pranzi pomeridiani nel Wannsee nei giorni invernali. Il nostro luogo aveva il tetto di vetro ed era circondato da alberi e trasudava ancora una atmosfera della lontana Berlino degli anni Venti. Nella notte ci univamo agli intellettuali e ai tiratardi al ristorante Exile a Kreuzberg. Nel retro c’era una sala per fumatori con un tavolo da biliardo, ed era come una sorta di altro soggiorno, eccetto il fatto che la compagnia cambiava sempre… Talvolta andavamo a far spese al Ka Da We, l’enorme centro commerciale nel bel mezzo di Berlino Ovest, che aveva la più grande esposizione di cibo che uno possa immaginare, con prodotti in mostra impensabili per un paese che un tempo aveva sia provato una seria carestia e dove alla popolazione piaceva consumare grandi quantità di cibo. Acquistavamo occasionalmente discrete quantità di quelle che allora erano considerate vere leccornie, come il cioccolato o piccole scatole di caviale. Un giorno, mentre io e Coco eravamo fuori, Jim entrò in casa e si sbafò tutto ciò che avevamo acquistato in una mattinata di shopping. Fu una delle poche volte che io e Coco volevamo ucciderlo, potrei fornire altri particolari ma…Non avevo intenzione di lasciare Berlino, ho solo dovuto allontanarmi. Forse mi sentivo meglio. Jim decise di rimanere ulteriormente poiché era molto preso da una ragazza che aveva incontrato in quel luogo e si era trasferito in un proprio appartamento, la porta accanto alla nostra. In seguito, ci fu l’impegno per Elephant Man, che mi tenne negli Stati Uniti per un tempo considerevole. E così la mia permanenza a Berlino terminò.

U: Sembra che tu ed Iggy incontraste Giorgio Moroder durante la registrazione di The Idiot. Ci fu mai un progetto di collaborazione per quel disco, oppure per Low o ‘Heroes’? 
B: No.

U: Iggy sostiene che Lust for life fu scritto da David di fronte alla Tv a Berlino, con un ukulele, con il ritmo che riproduceva il ticchettio del codice Morse dell’inno delle Forze Alleate. È proprio così? 
B: Certo.

U: David Hemmings girò un film durante il tour di Stage riprendendo il concerto alla Earl’s Court. Perché non vide mai la luce?
B: Semplicemente, non mi piaceva il modo in cui era stato montato. Ma ora, naturalmente, lo ritengo abbastanza buono ed ho il sospetto che uscirà fra qualche tempo, in futuro.

U: La trilogia berlinese è ora considerata come una pietra miliare della musica post-punk/ambient/elettronica/etnica. Ti sorprende tutto ciò? Eri consapevole della sua importanza quando registrasti i tre albums?
B: Si. Per qualche ragione, per qualche confluenza di circostanze, Tony, Brian ed il sottoscritto creammo un linguaggio di suoni potente, angosciato, talvolta euforico. In qualche misura, tristemente, essi catturano, a differenza di qualunque cosa di allora, un senso di struggimento per un futuro che tutti noi sapevamo non si sarebbe mai materializzato. Sono tra le cose migliori che noi tre abbiamo mai fatto. Nessuna altra cosa suonava come questi albums. Nessuna altra cosa si avvicinò ad essi. Se non avessi più inciso alcun disco, non avrebbe avuto molta importanza ora, tutto me stesso è contenuto in quella trilogia. È il mio DNA.

INTERVISTA A TONY VISCONTI

UNCUT: Alcuni biografi sostengono che il periodo berlinese di David costituì una reazione istintiva all’ ethos del punk-rock della metà degli anni Settanta – vestito in modo dimesso, brutale, serioso, maledetto, emozionalmente rozzo -. Sei d’accordo? 
VISCONTI: Credo semplicemente che a David piacesse vivere a Berlino. C’era molto di quella città, in quei giorni, che era fantastico, da sogno, che non esisteva in alcuna altra parte del mondo. Il pericoloso ostacolo delle zone militari separate, i ristoranti estremamente tradizionali coi camerieri coi grembiuli, che ricordavano la presenza non troppo lontana di Hitler, uno studio di registrazione a 500 yards dal Muro. Avresti potuto essere sul set del film Il Prigioniero.

LOW 
U: Percepito generalmente come il disco di David emozionalmente più onesto, ma più infelice. Questa interpretazione è accurata? 
V: Non fu un album difficile da registrare, agivamo a ruota libera, regolandoci come volevamo. David strava attraversando un periodo molto difficile personalmente e professionalmente. Bisogna comunque ammettere che, da parte sua, tenne sempre un contegno esemplare. La sua musica testimoniava che era “depresso” (low).

U: È vero che il Chateau d’Herouville era popolato dai fantasmi di Chopin e George Sand? David rifiutò di dormire nella camera da letto principale poiché era stregata? Eno svegliato da qualcuno che gli batteva le spalle nel mezzo della notte? Ti ricordi qualche gustoso episodio di fantasmi che capitò?
V: Devo riconsiderare le mie sensazioni sul soprannaturale. C’era certamente una strana energia nel castello. Nella prima giornata David diede un’occhiata alla camera da letto principale ed esclamò: “Non ho intenzione di dormire in quel letto! Occupò in seguito la stanza della porta accanto. La stanza da letto principale aveva un lato molto oscuro vicino alla finestra, che pareva assorbire la luce. Ed era pure assai fredda. Accettai quella stanza perché volevo testare le mie capacità di meditazione. Non l’ho mai detto a nessuno, prima. Avevo letto che i Buddisti in Tibet meditavano tutta la notte in un cimitero per mettere alla prova il loro livello di paura/non paura. Milarepa, il santo tibetano, si sedeva sul corpo di sua madre defunta per tutta la notte e meditava. Quella stanza sembrava davvero stregata, ma cosa potevano realmente farmi Frederic e George, spaventarmi in francese? Mi piaceva l’aspetto della stanza, così decisi di provare a passarci una notte. Se fosse accaduto qualcosa avrei gridato così forte da svegliare l’intero villaggio. Eno disse che veniva svegliato ogni mattina da qualcuno che gli scuoteva le spalle. Quando apriva gli occhi, non c’era nessuno.

U: Vi sono voci che Robert Fripp partecipò alle registrazioni di Low, ma non fu menzionato: È vero? 
V: No, non fu mai in quel luogo. Solo Ricky GardinerCarlos Alomar e David suonarono le chitarre nel disco.

U: Vi sono altre voci che affermano l’esistenza di versioni alternative di brani con testi differenti – e’ vero e se sì, perché?
V: Ricordo che David scrisse una terza sezione di liriche in Always crashing in the same car e la cantò con lo stile di Bob Dylan. Fu fatta in modo quasi scherzoso, ma fummo spiazzati poiché Dylan ebbe quel famoso incidente motociclistico e il tutto sembrava quindi di cattivo gusto, ritengo. David mi chiese di cancellarla, e così feci. Non ricordo dell’esistenza di liriche alternative negli altri brani.

U: C’è una storia a proposito di Dennis Davis che raccontava un accaduto – durante le sessioni di Low – in cui veniva cacciato dall’aeronautica dopo aver assistito allo schianto di un Ufo. Che cosa ricordi a proposito? 
V: Dennis era l’istrione della compagnia. Poteva eseguire una mossa clownesca nella telecamera della Tv a circuito chiuso e catturare immediatamente la nostra attenzione. Una volta ci disse che durante il servizio militare aveva imboccato una scorciatoia, e attraversando un hangar ultrasegreto si era imbattuto nei resti di un UFO schiantatosi sulla Terra. Lo osservò per lunghissimo tempo sino a che una guardia gli intimò di andarsene poiché non era autorizzato a stare in quel luogo. Gli venne minacciosamente detto di non dire nulla di quello che aveva visto. Non ho idea se tutto questo fosse vero, ma era sicuramente intrigante. La tv francese fa schifo, Dennis era la cosa migliore che avevamo.

U: C’è una menzione su Low per Peter e Paul. Ciò ha a che fare con Mary, che partecipò alle registrazioni? E chi furono realmente quei due?
V: Brian e Mary cantarono quei “doo-doos” all’inizio di Sound and Vision. Mary e i nostri figli si trattennero per un paio di settimane.

U: Ti infastidisce ancora il fatto che alcune persone pensano che Eno abbia prodotto la trilogia berlinese?
V: Sì. David l’ha puntualizzato molte volte da allora, e naturalmente il mio nome figura come co-produttore con David: Come alcuni giornalisti rock continuino a fare questo sbaglio va oltre il sottoscritto. Credetemi, non ricordo che Brian abbia avuto a che fare con la produzione. So che David e Brian trascorrevano un periodo insieme prima di entrare in studio con me, ma solo per la scrittura dei brani. Brian passava una media di tre settimane registrando la sua parte sui dischi della trilogia. Non fu presente per la registrazione delle liriche, di un sacco di sovraincisioni e per il missaggio finale.

U: Ho sempre ritenuto che vi fosse un prevalente senso di speranza all’interno di Low (certamente non un album pessimista). Ritieni tutto ciò effettivo? 
V: Credo che Warszawa sia un brano che elevi decisamente lo spirito. Al di là di pochi giorni davvero infelici ci divertimmo abbastanza nel registrare il disco, specialmente quando tutte le idee radicali si materializzarono e le cose cominciarono a funzionare. Ricordo che dopo un paio di settimane di registrazione ho eseguito alla buona un missaggio provvisorio dell’intero album in una cassetta e l’ho passata a David: Egli uscì dallo studio con il nastro che gli barcollava sulla testa e sorrise in maniera estasiata dicendo: “Abbiamo un album, abbiamo un album. Debbo spiegare meglio il significato di questa frase sottolineando che all’inizio noi tre ci accordammo di provare a registrare senza alcuna promessa che Low sarebbe stato pubblicato. David mi aveva chiesto se non mi sarebbe importato sprecare un mese della mia vita in un esperimento se non fosse andato a buon fine. Hey, eravamo in un castello francese per il mese di agosto ed il tempo era meraviglioso!

U: È vero che, quando David ti chiese che cosa era in grado di fare il tuo Eventide Harmonizer, tu prorompesti con la frase: “E’ culo e camicia con la fabbrica del tempo”? Quanto rivoluzionario pensi fosse il suono che hai creato? E la sua influenza negli anni a venire?
V: In realtà dissi: “Scopa con la fabbrica del tempo”, per la delizia di David e Brian che erano ad una conferenza stampa con me in quel momento. Devo avere guadagnato una menzione scandalizzata in uno di quei rotocalchi per famiglie…era un sound radicale, specialmente per quanto riguarda la batteria. Possedevo il secondo Harmonizer in Europa e ritenevo che fosse una questione di tempo prima che gli altri produttori divenissero consapevoli di ciò che avevo fatto. Ma quando uscì il disco l’Harmonizer non era ancora così diffuso. Ho avuto decine di produttori che mi telefonavano e mi chiedevano come avessi fatto, ma non dicevo nulla. Invece, chiedevo loro come ritenessero avessi proceduto ed ebbi alcune risposte molto interessanti che trovavo di grande ispirazione. Un produttore insisteva nel dire che avevo compresso le registrazioni della batteria per tre volte in modo separato e che rallentavo il prodotto finale ogni volta, o qualcosa di simile. Ho utilizzato l’Harmonizer per creare grandi effetti in qualche parte cantata, in particolar modo sul lato due di Low… ho ascoltato centinaia di ‘Low sounds’ da allora in altri dischi.

U: Hai descritto la registrazione di Low come abbastanza problematica. Ti ricordi qualcuno dei vari incidenti (intossicazione da cibo, infiltrazione dei giornalisti francesi, etc.)
V: In agosto la maggior pare dell’Europa va in vacanza. Lo studio non costituiva un’eccezione. Il servizio era terribile. Dopo tre giorni, notai che il suono delle registrazioni peggiorava costantemente e chiesi al mio assistente, un bravo compare inglese, quando era stata l’ultima volta che il registratore multipiste era stato revisionato. Mi rispose una settimana circa prima del nostro arrivo, e da allora il tecnico era andato in vacanza. Il mio assistente era un novizio, assunto solamente perché era in grado di parlare inglese e francese. Non aveva alcuna idea di come fare manutenzione alle macchine. E così ogni mattina andavo in studio con lui e settavamo la macchina insieme, con il manuale aperto, facendo del nostro meglio. Il cibo era allucinante. Per i primi tre giorni ci servirono solo del coniglio senza alcun contorno. Stavo facendo la fame…avevamo un appetito terribile alla notte e così mangiavamo il formaggio che i tenutari avevano lasciato sul tavolo. Come risultato, David ed io fummo colpiti da intossicazione alimentare. Il dottore francese non poté esimersi dal visitarmi quando mi alzai dal letto per chiedergli di darmi un’occhiata dopo aver visitato David: Egli disse: “David sta bene, è in grado di camminare. David divideva la sua medicina con il sottoscritto… Una signora francese fu poi nominata nostra assistente. Avrebbe dovuto provvedere a tutto ciò che ci occorreva per rendere la registrazione del disco senza problemi, ma anche lei non poté esimersi dal portarci del pane, formaggio e del vino in studio quando ne facemmo richiesta alle una di notte (una normale ora lavorativa in uno studio di registrazione rock) Ricordo che David tirò giù il proprietario dal letto a quell’ora dicendo con parole precise e misurate: “Desidereremmo del pane, del formaggio e del vino in studio. Come? Ora, certo! Che cosa? Lei stava dormendo? Mi scusi, ma pensavo che gestisse uno studio di registrazione”.

U: Che cosa ti impresse all’inizio di Ricky Gardiner? 
V: Era molto particolare ed assai abile con gli effetti speciali. Ero in soggezione di lui.

HEROES 
U: Generalmente considerato come un album più energico e positivo rispetto a Low. È corretta questa affermazione? 
V: Si, erano tempi più felici ed i tedeschi avevano uno studio decisamente migliore rispetto a quello francese – a quel tempo, in ogni caso.

U: Il disco fu per la maggior parte scritto in studio e completato in pochissime registrazioni. Esatto? C’era un intento preciso dietro questo metodo?
V: Iniziavamo sempre questi albums realizzando delle ‘demo’, il che funzionò sino a Scary Monsters. Quindi ci rendevamo conto che le ‘demo’ necessitavano solamente di qualche limitato intervento. Talvolta prendevo una grossa sezione del pezzo e la copiavo e la editavo nel brano definitivo subito dopo, tagliando attraverso le 24 piste. Non direi che fossero esattamente le prime registrazioni, lavorammo duramente ed a lungo su ogni brano. Non facemmo, per così dire, 25 registrazioni, ma direi che la maggior parte dei brani furono completati in circa 5 registrazioni.

U: Si dice che hai affermato che amavi lo Studio Due Hansa e che fu una delle tue “ultime grandi avventure nel registrare un disco”. Puoi spiegare? Il pericolo implicito di essere vicino al Muro sorvegliato costituì un fattore particolare? Vi diede energia creativa? 
V: È una bella sala dal lato acustico. Puoi ascoltarne l’atmosfera nelle parti di batteria di Dennis ed in quelle cantate di David: Essendo così vicino al Muro, lo studio acquisiva una sorta di aura esotica per la registrazione di un album. La dotazione strumentale era pionieristica ma perfettamente regolata. Dopo il lavoro, vi erano cose da fare, posti in cui andare e persone da vedere. Inoltre, avevo la buona sorte di avere una sala piena di musicisti di talento e molto creativi. Fu un momento irripetibile nel tempo. Ho saputo che gli U2 andarono agli Hansa per riprodurre ciò che avevano creato ma non funzionò per loro. Ho sentito che odiarono il posto.

U: È vero che Robert Fripp arrivò e suonò in una giornata sulle registrazioni ‘alla cieca’? Quanto fu effettivamente abile nelle sue performances?
V: Due giorni – io ne perdetti uno poiché la mia ex moglie Mary Hopkin aveva uno show televisivo che dovevo condurre. Fripp è una persona squisita! Utilizzò il suo metodo ‘Frippertonics’ ed inserì la sua chitarra nel sintetizzatore portatile EMS di Eno. La combinazione fu incredibile. La sua esibizione su ‘Heroes‘ non durò troppo tempo. Suonò solamente un passaggio e chiese tre piste ulteriori per abbellire il brano. Prima che ne divenissimo consapevoli avevamo ottenuto un sound che nessuno aveva mai udito prima. Le chitarre su quel brano sono mozzafiato. Oltre ad essere un grande musicista è anche un uomo molto divertente. Si domandò se fosse intenzionato ad avere compagnia femminile per quella notte a Berlino, e utilizzò l’eufemismo: ‘Ho qualche speranza di sfoderare la spada dell’unione stanotte’, pronunciando la frase con il suo aspro accento del Somerset. Non smettevamo più di ridere.

U: Storie conflittuali. Il brano ‘Heroes’ fu ispirato da:
(a) due amanti che David scorse nei pressi del Muro di Berlino
(b) Toni Visconti e Antonia Maas darsi un bacio nei pressi del Muro
(c) Il dipinto di Otto Muller ‘Gli amanti tra le pareti del giardino’
(d) Tutte queste cose
(e) Nulla di tutto ciò?
 
V: Siccome ero sposato a quel tempo, David mi protesse per tutti questi anni tacendo il fatto che vide me e Antonia baciarsi nei pressi del Muro. Chiese di rimanere solo per scrivere il testo del brano ed andammo a fare una passeggiata vicino al Muro. Antonia era una bella donna e una grande cantante. L’ho incontrata mentre cantava in un gruppo jazz in un club di Berlino.

LODGER
U: Un disco che divide profondamente i fan di Bowie – straordinariamente amato o totalmente indifferente. Puoi spiegare queste reazioni?
V: Avrei desiderato suonasse meglio, gli studi che utilizzammo erano scelte poco azzeccate, ma il contenuto del disco è meraviglioso. Continuo ad ascoltarlo malgrado a mio avviso suoni veramente male.

U: Il distanziarsi dal puro suono elettronico costituiva una strategia deliberata per staccarti dai gruppuscoli synth-pop che imitavano pesantemente i suoni di Low e ‘Heroes’?
V: Credo di sì. Non registrammo un lato di musica ambientale anche su questo album.

U: Cosa puoi riferire a proposito della strategia detta degli “Incidenti Pianificati” (per esempio, Adrian Belew avente istruzioni di suonare qualunque cosa gli passasse per la mente su brani preregistrati a lui sconosciuti)? 
V: Eravamo intenzionati a creare molto più caos. Brian faceva strani esperimenti come lo scrivere i suoi otto accordi preferiti su una lavagna chiedendo alla sezione ritmica di suonare ‘qualcosa di funky’. Quindi indicava casualmente un accordo ed il gruppo doveva eseguirlo. Tutto ciò non ebbe esito troppo favorevole, ma cercavamo di provare un sacco di cose differenti. Yassassin era un tentativo deliberato di elaborare una forma ibrida di musica – reggae/turca. Fantastic Voyage e Boys keep swinging‘ rappresentano lo stesso brano dal punto di vista armonico e strutturale, così come un terzo pezzo che non fu mai utilizzato. Adrian Belew era bravissimo perché eseguiva qualunque strana cosa gli fosse richiesta.

U: Eno fu accreditato di aver aggiunto una ‘minaccia sonora’. Puoi spiegare? 
V: Si tratta di quel chiacchiericcio sonoro su African Night fly, un suono ed un esempio ritmico prodotto dalla drum machine Roland di David, suonato molto, molto velocemente. Sul foglio che accompagnava la registrazione vi era scritto “suoni incazzati”, o qualcosa di simile.

U: La registrazione di Boys keep swinging’ fu basata sulle carte delle ‘Strategie Oblique’ (cambiare strumenti e/o usare personale non qualificato)?
V: Probabilmente. Fortunatamente Carlos è un bravo batterista.

U: Il refrain finale di Red Money – progetto cancellato – ha un significato particolare? Il sipario tirato sulla trilogia di Eno? 
V: Non ne ho idea. Chiedetelo a David.

U: Perché pensi che l’asse Bowie/Eno/Visconti funzionò così bene (nessuna modestia, per favore!) In che cosa era speciale? 
V: Credo fosse a causa del fatto che noi tre lavorassimo liberi da diktat commerciali. Non ce ne fregava nulla dei pezzi grossi discografici, dei critici o di chiunque. È difficile avere delle persone in studio che si sciolgono e diventano radicalmente cerativi. Eravamo agli opposti. Noi tre abbiamo anche buoni caratteri. Non litigavamo per arrivare ad un risultato. Perciò le cose funzionavano! Credo che rappresentassi un ottimo barometro per David e Brian per constatare se qualcosa funzionasse o meno. Il mio retroterra culturale è completamente diverso dal loro (sono di Brooklyn, New York) ma dal punto di vista artistico e creativo ero alla pari di loro. Strani compari, senza dubbio!

U: La trilogia berlinese è ora considerata come una pietra miliare della musica post-punk/ambient/elettronica/etnica. Ti sorprende tutto ciò? Eri consapevole della sua importanza quando registrasti i tre albums? 
V: Credo che realizzai questo quando uscì Low e fu considerato una pietra miliare. ‘Heroes‘ era solamente un Low migliore. Lodger era una reazione creativa, credo, ai due precedenti. Tutti e tre sono piuttosto interessanti. Posso sedermi proprio in questo momento ed ascoltarli tutti e tre in fila ed essere consapevole di poter udire alcune cose che mi erano sfuggite in precedenza, o ricordare alcuni grandi momenti in studio quando accadeva qualcosa che sconvolgeva la mente, come Joe the Lion, tutta la musica ed il testo in questo brano! Percepire la potenza della musica ambientale che si creava lentamente – il nastro di registrazione era il nostro bersaglio da tiro! Scary Monsters non è mai menzionato come parte della trilogia, ma ritengo sia il coronamento di tutto ciò che avevamo appreso nella registrazione dei tre albums precedenti. Anche se Brian non era più con noi, puoi sentire la sua influenza su questo disco.

U: Quale è il tuo disco favorito? 
V: Dipende dal mio stato d’animo. Probabilmente ‘Heroes‘.

INTERVISTA A BRIAN ENO

DOMANDA: Come ebbe inizio la tua collaborazione con Bowie? 
ENO: David aveva realizzato Station to Station, un album davvero innovativo e che dimostrava chiaramente che aveva fiuto per quanto riguardava il futuro della musica. Lui desiderava realmente lavorare con qualcuno che dividesse con lui questo fiuto e che fosse pronto ad incoraggiarlo, che assicurasse risultati positivi non facendo finire il tutto in una bolla di sapone. E così mi contattò e portai il mio piccolo sintetizzatore. Una delle cose più significative che feci per Low fu di avere un atteggiamento di incoraggiamento. David arrivò con alcuni strani pezzi, corti e lunghi, che avevano già una propria forma e struttura. La sua idea di base era quella di lavorarci assieme per dare ai brani una struttura ‘più normale’. Gli dissi che non dovevano essere modificati, e che doveva mantenere la loro forma strana ed anormale.

D: E come era lavorare con lui? 
E: All’inizio piuttosto problematico. Fu molto più difficile lavorare su ‘Heroes‘ rispetto a Low. Partecipai alle registrazioni di ‘Heroes’ sin dall’inizio, mentre, come detto, per Low arrivai dopo che il gruppo aveva terminato il proprio lavoro e feci solo delle sovraincisioni. Per ‘Heroes‘ lavorammo esclusivamente di notte, e così ero un po’ scombinato a quel tempo. Giorni passati ad entrare l’uno nella mentalità dell’altro, capisci. Inoltre, c’era il modo di lavorare di David, che è abbastanza differente dal mio. In effetti è un mistero per me – non potrei lavorare in quel modo -.

D: Spiegati meglio. 
E: Bene, l’intero nostro lavoro – eccetto Sons of the silent age che fu scritta precedentemente – fu creato all’istante in studio. Non solo quello, ma ogni cosa nel disco è registrata una volta sola! Voglio dire, eseguimmo seconde registrazioni ma non furono buone come le prime. Tutto fu fatto in un modo piuttosto casuale: stabilivamo una sorta di ‘facciamo in questo modo’ e lo facevamo, e poi qualcuno diceva ‘stop’ e così era, per quanto riguarda la lunghezza del brano. Mi sembrava un modo completamente arbitrario.

D: Cosa mi dici a proposito del brano ‘Heroes’?
E: Il mio contributo a questo pezzo costituì solamente nella registrazione di base. David scrisse le liriche e la melodia dopo che me andai dallo studio – esattamente come fece per tutti gli altri pezzi. E quando me ne andai, avevo già una sensazione a proposito di questo pezzo – suonava grandioso ed eroico, e questa sensazione mi rimase in mente. In seguito, David mi fece avere una copia dell’album, e quel pezzo diceva “possiamo essere eroi” ed io fui assolutamente…fu una sensazione così strana, sai, ebbi i brividi…quando hai i brividi è perché hai una reazione di paura, non è vero?

D: Cosa ne pensi del resto dell’album? 
E: Non ascolto mai interamente le liriche, solo alcune parti o segmenti musicali. Come in Joe the lion dove si dice ‘E’ lunedì’. Mi ha colpito molto.

D: Puoi descriverci l’attività in studio?
E: Bene, registrammo le basi molto velocemente – credo in un paio di giorni – E pensa un po’, tutto ciò dopo che avevo impiegato mesi e mesi per lavorare sul mio ultimo disco. E quindi pensai: Dannazione, non può essere così facile. Ero perciò incline a diffidare da quel lavoro iniziale, ma gradualmente prese una forma ottimale. Robert Fripp fece il suo lavoro in circa sei ore – ed era appena sceso dall’aereo da New York! Giunse in studio all’incirca alle undici di sera e gli dicemmo: “Hai voglia di farci ascoltare qualcosa di bello?” ed egli disse “Sarebbe il caso che ascoltassi ciò che avete preparato voi. E mentre preparavamo le nostre registrazioni, tirò fuori la sua chitarra e disse ” Sarebbe il caso provare a fare qualcosa. E così attaccai lo strumento nel sintetizzatore per ‘trattarlo’ e gli suonammo virtualmente tutto ciò che avevamo registrato – e lui cominciò a suonare anche senza conoscere le sequenze di accordi. Fu una esibizione straordinaria. Per il giorno seguente, Robert ebbe finito, raccattato il tutto e ritornato sulla via di casa. Tutte prime registrazioni, nuovamente. Incredibile. Una altra persona che merita una menzione è Carlos Alomar. Tutte quelle piccole parti melodiche sono sue – elaborate alla velocità della luce -. Andavamo tutti in studio e David diceva: “Bene facciamo quello, quell’altro, questo due volte più lungo e poi quello – e facciamo questo un paio di volte e poi ritorniamo di nuovo a quello”. E dopo queste brevi istruzioni cominciavamo a suonare – e in questo minimo lasso di tempo Carlos produceva questa bella sezione -. E’ veramente da sottolineare, lui dava a questi pezzi un sacco di carattere.

D: E a proposito di David? 
E: David assume un comportamento molto particolare quando lavora. Non mangia. Mi colpiva in modo paradossale il fatto che due relativamente buoni amici ritornavano a casa alle sei del mattino barcollando per la stanchezza, e lui si cibasse di un uovo crudo che costituiva virtualmente il suo nutrimento per la giornata. Sedevamo attorno alla tavola della cucina all’alba, distrutti ed un po’ stufi, io con una ciotola di pessimi cereali tedeschi e lui con l’albume dell’uovo che gli colava sulla maglietta.

D: Hai con lui qualcosa in comune per quanto riguarda l’approccio al lavoro?
E: Abbiamo usato le carte delle Strategie Oblique parecchie volte. Sense of doubt fu registrata quasi interamente utilizzando questo metodo – e discutemmo a lungo sui metodi di lavoro, ma no, non ritengo abbiamo molto in comune. Ma va bene, finché esiste questa sorta di ‘dai e prendi’.

D: In che cosa il suo approccio differisce dal tuo? 
E: Bene, per esempio passammo una notte a registrare questo pezzo chiamato Neuköln. Mi piaceva tantissimo. Fui molto impressionato da quel brano. E cominciai a pensare che fosse come dipingere. C’era all’inizio del secolo a Berlino una scuola di pittura tedesca chiamata Die Brucke – una scuola espressionista. Molto rozza, assai cruda – e gli artisti avevano uno stato d’animo malinconico o di nostalgia, come se stessero dipingendo qualcosa che stava progressivamente scomparendo. E tutto ciò – l’audacia dell’attacco, la spontanea qualità evoluzionista delle immagini e il ‘sentimento sopra tutto’ – mi ricorda il modo in cui David lavorava.

D: Un altro brano significativo era Moss Garden
E: David voleva comporre un brano che fosse molto descrittivo, qualcosa che io normalmente non faccio dato che inizio di solito a fare qualcosa e poi dico “Oh, quello è così” e quindi seguo quella direzione. Ma quel brano fu elaborato per la quasi totalità concettualmente. David mi aveva parlato di un luogo a Kyoto chiamato Moss Garden e quindi iniziammo a lavorarci sopra. E, nuovamente, utilizzammo questa tecnica assai disordinata – del tipo, stavo eseguendo delle sequenze di accordi sul mio sintetizzatore Yamaha e dissi a David: “Dacci una voce quando ti sembra lungo abbastanza”, continuando a suonare. Dopo un pò lui guardò l’orologio e disse “Si, mi sembra sufficiente” e ci fermammo. E, sul disco, è dove esattamente finisce il brano. Ritengo ciò molto, molto curioso. E’ in qualche modo così casuale.

 

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    La Crew al timone di David Bowie Italia | Velvet Goldmine è formata da Daniele Federici e Paola Pieraccini. Daniele Federici è organizzatore di eventi scientifici ed è stato critico musicale per varie testate, tra cui JAM!. È autore di un libro su Lou Reed del quale ha tradotto tutte le canzoni. Paola Pieraccini, imprenditrice fiorentina, è presente su VG fin dall'inizio e lo segue dagli anni '70. Entrambi hanno avuto modo di incontrare Bowie come rappresentanti del sito.

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