Uscito lo scorso ottobre per la Blackie Edizioni, “Il Book Club di David Bowie” (sottotitolo: i 100 libri che hanno cambiato la vita di una leggenda) è la traduzione italiana del libro di John O’Connell del 2019. Il volume di 304 pagine parte dalla lista che David Bowie rese nota in occasione della mostra “David Bowie Is” in cui elencava i 100 libri che lo avevano influenzato di più. L’idea di trovare un fil rouge, un legame tra ciascun libro e tracce della sua influenza sull’opera di Bowie è affascinante. Riuscire nell’impresa è tutt’altra cosa. Ecco la nostra opinione.
Il book club di David Bowie dell’inglese John O’Connell, pubblicato in Italia alla fine del 2020, a qualche anno dall’uscita in lingua inglese, è l’ennesimo libro su Bowie che l’editoria sforna dalla scomparsa dell’artista inglese; molti editori, anche italiani, si sono fatti carico di questa missione, evidentemente imperdibile.
John O’Connell,è stato Senior Editor a Time Out e ha scritto di musica per The Face. Oggi è un giornalista freelance e scrive per The Times e The Guardian. Ha intervistato David Bowie a New York nel 2002. In questo libro percorre, a modo suo, l’elenco dei libri che Bowie aveva reso noto nel 2013, in concomitanza alla personale a lui dedicata al Victoria & Albert Museum di Londra: opere che lo avevano influenzato, che gli erano piaciute o, in qualche modo, presenti all’interno della propria produzione. O’Connell ci racconta, per ciascun libro, la sinossi e qualche aneddoto e suppone qualche legame con i suoi lavori.
Non ripercorreremo, in questa sede, l’elenco completo dei libri. Li trovate in molti articoli usciti anche sulla stampa nazionale.
un libro da leggere senza impegno
Quello che dovremmo fare è comprendere le ragioni della lista e capire se l’obiettivo del libro è stato raggiunto. Parliamo in questo caso, quindi, dell’originale: dell’edizione italiana pubblicata dalla Blackie edizioni possiamo intanto essere grati di averla tradotta.
La risposta alla domanda di cui sopra è, purtroppo, no. O comunque solo in parte.
Il book club di David Bowie stenta a centrare il proprio obiettivo e anzi rischia di essere un coffee table book, uno di quei libri lasciati sul tavolo di una caffetteria e da cui leggere in modo distratto alcune pagine a caso, con la non tanto celata conclusione “quanto era colto e preparato il mio Bowie”.
Se possiamo usare una metafora, un lavoro che tende a mostrare i muscoli culturali di Bowie, ma manca di farci intendere quali pesi sia stato in grado di sollevare. Una lettura che mira ad essere leggera, veloce e forse a volte inciampa per frettolosità in qualche strano dettaglio (abbiamo cercato ovunque le prestazioni canore di Yukio Mishima senza esito, ma non si finisce mai di imparare e continuiamo la ricerca).
IL DNA DI BOWIE
Il book club di David Bowie, a nostro avviso, non riesce a rispondere ad alcune domande. La più banale resta: “come mai Bowie ha diffuso quella lista?”, meglio ancora “come mai nessun altro artista ha reso noto il proprio elenco libri in maniera così determinante?”. A parte le presunte o dichiarate citazioni in brani e album, il libro non riesce a farci capire in quale modo Bowie ha messo insieme e mescolato questo background di letture, affiancate tra l’altro da tanti altri media (cinema, danza, teatro).
Ci sembra evidente che ogni gesto comunicativo di David Bowie sia sempre stato significato artistico. La diffusione di questa lista appartiene molto probabilmente a un preciso progetto di profilazione – in cui Bowie mostra il proprio DNA culturale, per quello che voleva fare percepire – nascondendo anche lavori scomodi o non utili a questo scopo: Aleister Crowley (con riferimento ad esempio a Station to Station o a Quicksand), per citare il più evidente. Ma anche la biografia di Buster Keaton scritta da Rudi Blesh (tanto riverito da essere egregiamente parodiato nel video di Miracle Goodnight), con la quale si fece lungamente fotografare da Steve Schapiro nel 1976. O ancora: The Immortal di Walter Ross, ai suoi piedi in alcuni scatti fatti da Terry O’Neil per realizzare la copertina di Diamond Dogs, storia e scomparsa di un idolo del cinema delle teenager americane dell’immediato dopoguerra in odore di divinità con un passato tutto da scoprire e non propriamente eterodosso (caso strano una delle tante edizioni di quel libro ebbe sulla cover un disegno di Andy Warhol).
L’edizione italiana
L’edizione italiana, essendo una traduzione, non può che ereditare le critiche che abbiamo ritenuto di fare al libro di O’Connell.
Ma dobbiamo aggiungere quello che, a nostro parere, è un ulteriore difetto: essere appunto una mera traduzione. Se quella italiana voleva comunque essere una serie di consigli di lettura, era auspicabile una cura redazionale un po’ più robusta, a sostegno di una ricerca nelle librerie o nelle biblioteche più precisa indicando edizioni e titoli delle versioni italiane e non di quelle estere.
Come diceva Riccardo Piaggio in un pezzo pubblicato sul Sole24Ore nella settimana della scomparsa di David Bowie [citiamo alcuni passaggi]: “Bowie è stato uno straordinario performer cross-disciplinare… qualcosa di vicino all’utopia ottocentesca dell’Opera d’arte totale, quindi dell’arte politica nell’unico senso che questa parola attraversa senza agitare compromessi”.
Di certo un artista per il quale la cultura non era un fatto nozionistico.
VIDEO INTERVISTA ALL’AUTORE
La Blackie Edizioni, la casa editrice che ha curato la traduzione italiana di Il book club di David Bowie, ha pubblicato questa video intervista di Carlotta Vagnoli (attivista, autrice e “sex columnist” fiorentina) all’autore John O’Connell. Per chi fosse interessato, ve la riportiamo di seguito.