Continuano le indiscrezioni su Stardust, il primo biopic non autorizzato su David Bowie: la prima immagine e le prime precisazioni sulla storia.
Stardust sarà il primo film realizzato su David Bowie a seguito della sua scomparsa, nel gennaio 2016. Dopo il successo di film biografici come Bohemian Rhapsody, che ha raccontato la storia dei Queen e Rocketman, dedicato a Elton John, il termine biopic è entrato nel linguaggio corrente. Non c’è dubbio che l’industria cinematografica stia cercando di cavalcare l’onda dell’interesse verso i film musicali biografici.
La vita di Bowie è senz’altro una delle più interessanti da raccontare attraverso un film. Anche una delle più difficili. Forse non è un caso che Stardust verterà su un periodo molto specifico della vita e della carriera di David Bowie: il viaggio in America intrapreso insieme al suo addetto stampa Ron Oberman nel 1971, ad appena 24 anni. Viaggio che avrebbe portato Bowie a ridefinire la propria visione della musica e ispirato la creazione di Ziggy Stardust, il suo alter ego glam rock più conosciuto e iconico.
STARDUST: IL CAST
A vestire i panni di Bowie sarà Johnny Flynn (Lovesick, Genius, Vanity Fair, Les Miserables), affiancato da Jena Malone (Hunger’s Game) che interpreterà Angie Bowie, la prima moglie. L’addetto stampa Ron Oberman sarà interpretato da Marc Maron. Nel cast anche Anthony Flanagan, Lara Heller e Roanna Cochrane. Dietro la macchina da presa, invece, ci sarà Gabriel Range (I Am Slave; Death of a President).
STARDUST: IL VIAGGIO IN AMERICA DEL 1971
Davvero il viaggio che Bowie tenne nel 1971 in America è così importante nella sua carriera? Effettivamente lo è. Quando iniziò a scrivere i brani per Hunky Dory nel 1970 la sua carriera non aveva ancora avuto una reale svolta per il meglio. Nei sei anni precedenti aveva intrapreso la strada del cantante e dato alla luce tre album. Era ora senza un contratto discografico. Il singolo Space Oddity del 1969 gli aveva procurato grandi soddisfazioni e notorietà e The Man Who Sold The World vantava buone recensioni. Poi, nel gennaio 1971, sbarcò negli Stati Uniti per un tour promozionale di tre settimane. Un viaggio che aprì sicuramente il suo universo e diede ispirazione al capolavoro del 1971. “Tutto l’album Hunky Dory riflette il mio entusiasmo ritrovato per questo nuovo continente che mi si era schiuso davanti” ha dichiarato Bowie nel 1999. “Quella era la prima volta che una situazione esterna reale mi avrebbe influenzato così profondamente tanto da cambiare il mio modo di scrivere e il modo in cui guardavo alle cose“.
Viaggiando in autobus da Washington alla California, Bowie si innamorò degli Stati Uniti e scrisse dei tributi ad alcuni degli artisti più rappresentativi di questo nuovo continente: Andy Warhol, Song for Bob Dylan e Queen Bitch, ispirata e dedicata a Lou Reed e ai suoi Velvet Underground.
Trasse ispirazione anche da cantautori folk che all’epoca dominavano la classifica americana: James Taylor e Cat Stevens in primis. Dopo gli eccessi elettrici di The Man Who Sold the World e il suo hard rock, Bowie iniziò a comporre piacevoli melodie acustiche con testi surreali.
“Quando stavamo provando i brani di Hunky Dory, David suonava da solo in questi locali folk londinesi per, più o meno, una cinquantina di persone” ha ricordato Trevor Bolder, bassista su quel disco oltre che su Ziggy Stardust e Aladdin Sane. “Aveva capelli lunghi e sembrava un cantante folk a tutti gli effetti“.
Bowie passò circa sei mesi a rifinire le canzoni. Nel momento in cui, nell’estate del 1971, entrò nei Trident Studios di Londra, aveva i demo definitivi per dieci brani. Realizzò che il movimento e il periodo folk stavano scemando e la necessità di guardare avanti, soprattutto con gruppi glam come i T.Rex che suonavano in giro. Assemblò un gruppo che potesse amplificare le sue melodie folk e trasformarle in grandiosi brani rock e glam: Mick Ronson e il tastierista degli Yes Rick Wakeman erano a bordo.
STARDUST: UN FILM NON AUTORIZZATO E SENZA LE SUE CANZONI
Attenzione però ai facili entusiasmi: Stardust non solo non conterrà alcuna canzone di Bowie nella colonna sonora, ma non è stato neanche approvato dal figlio Duncan e dalla famiglia. Proprio il giorno successivo all’annuncio di Flynn come protagonista del film, in un tweet Duncan Jones aveva dichiarato che non era sua intenzione concedere i diritti per l’utilizzo della musica del padre per questo film: “per come stanno le cose” ha scritto, “il film non conterrà musica scritta da papà. Di sicuro a nessuno sono stati concessi i diritti sulla sua musica per nessun biopic. Non sto dicendo che questo film non si farà. Sinceramente non lo so. Dico solo che, stando così le cose, questo film non avrà nella colonna sonora la musica di mio padre e non prevedo cambiamenti in merito. Se poi volete vedere un biopic senza la sua musica o l’appoggio della sua famiglia, sta allo spettatore decidere“.
Una presa di distanza abbastanza chiara. Ma che non presuppone necessariamente che il film non possa essere interessante: tutt’altro. Basti pensare allo splendido Velvet Goldmine, chiaramente ispirato a Bowie e che non utilizzava le sue musiche.
In attesa di vederlo nelle sale cinematografiche nel 2020, qui di seguito troverete la prima immagine diffusa di Johnny Flynn nei panni di David Bowie nel film Stardust.
Mah! Non so proprio che pensare.
Bleah!
Non capisco cosa ci possa essere di interessante in un “Film” non approvato dalla famiglia, senza le canzoni di David; ah certo, la curiosità morbosa di “vedere” fine a se stessa, disconoscendo l’anima di un immenso artista che mai avrebbe voluto questo. L’arte si spiega con l’arte, l’arte è armonia, questo è David.
Se c’è una cosa che David ci ha insegnato, è di essere costantemente curiosi e di non giudicare a priori. Sinceramente un film biografico su Bowie con le sue canzoni non crediamo possa essere mai fatto dignitosamente e rischierebbe di essere un’opera banale. Ben vengano tentativi diversi, anche incentrati su periodi specifici. L’approvazione o meno della famiglia può rendere ufficiale una cosa, ma non necessariamente bella o valida. O il contrario.
Bisognerà quindi di giudicare il film senza alcun preconcetto e solo il risultato. Magari sarà bruttissimo, ma potrebbe anche rivelarsi una sorpresa.
Ci sono altri esempi di film splendidi dedicati ad artisti che non utilizzavano le canzoni originali o che comunque erano fuori dagli schermi. Pensa a “Control”, meraviglioso film di Corbjin sui Joy Division, le cui canzoni erano interpretate da altri artisti.
Ma le premesse del film Control erano tutt’altre, le musiche c’erano, infatti tutto è andato come previsto. L’esperienza deve pur servire a qualcosa.