“Codice Bowie” di Damiano Cantone e Tiberio Snaidero, pubblicato da Meltemi, è un’originale pubblicazione che propone “cinquanta chiavi” per aprire le porte della costellazione estetica e musicale del Duca Bianco. Stefano Nardini, che di libri se ne intende più di chiunque altro, ha realizzato per Velvet Goldmine una video intervista con uno degli autori. Troverete anche, più sotto, una recensione a cura di Giulio Pasquali.
Se c’è una particolarità di Bowie, rispetto a molti altri artisti, è che seguirne le tracce è come guardare in un caleidoscopio fatto non solo di musica ma di segni, evocazioni, significati.
Il libro Codice Bowie sembra partire proprio da questi segni per inoltrarsi nel non facile territorio della comprensione dell’affascinante e a tratti oscuro universo creato da Bowie. O meglio: tenta di individuare alcune chiavi di lettura. Se si vuole usare la metafora del labirinto interpretativo (con la speranza di incontrare il Re dei Goblin), gli autori cercano di sciogliere il filo di Arianna per non farci perdere la bussola in questa selva oscura di segni.
Il comunicato stampa recita: “Questo libro non è una biografia, né un’enciclopedia e neppure una raccolta di interviste, di foto o di testi delle canzoni di David Bowie. Si tratta di un appassionante glossario sui generis dei contenuti e dei concetti che il musicista inglese ha adottato e rielaborato nella sua carriera artistica, delle categorie che aiutano a catalogarne e a interpretarne la produzione e la presenza pubblica. La sua musica, il suo stile e la sua verve scenica hanno influenzato la vasta arena del music business, la moda, l’arte, il design e il discorso sull’identità. Alieno, ambiguo, androgino, camaleontico, complesso e contraddittorio… Cos’è David Bowie?“.
Per comprendere meglio il Codice Bowie, Stefano Nardini ha intavolato per Velvet Goldmine una bella discussione filosofica con uno dei due autori: Damiano Cantone. Che vi proponiamo qui di seguito. Dopo l’intervista potrete inoltre leggere la recensione del libro a cura di Giulio Pasquali.
CODICE BOWIE – Video intervista a Damiano Cantone
CODICE BOWIE – Recensione
Se la chiacchierata filosofica non vi fosse bastata, eccovi la recensione del libro a cura di Giulio Pasquali.
Tra i tanti libri usciti ultimamente su David Bowie, ricordati anche dagli autori nell’introduzione, questo volume si presenta in una chiave originale. Non è una nuova versione di approfondimenti già visti (biografie, discografie critiche, testi o graphic novel), con i quali forse sarebbe stato difficile confrontarsi (chi scriverebbe un’enciclopedia bowiana dopo Nicholas Pegg o una biografia giorno per giorno come Any Day Now…). È un approccio davvero particolare con cui si osserva l’intera opera di David Bowie come se si trattasse di un percorso multi e transmediale, da analizzare da più punti di vista.
Transmedialità è una delle cinquanta parole-chiave selezionate per aprire (diremmo quasi, con un termine geologico, carotare) il discorso artistico di Bowie che, come viene spesso sottolineato, è un complesso inestricabile di musiche, testi, costumi, personaggi, copertine, abiti di scena, scenografie, videoclip, con lo scopo di costituire quello che gli autori, nel capitolo Voce, definiscono come “testo, rete semica multimediale di cui la voce diventa il feticcio”.
Per farlo, gli scelgono cinquanta marcatori e seguono il loro sviluppo: Gioco, Libertà, Poetica, Altro, e ancora Droga, Morte, Berlino, Visconti, Tempo. Cinquanta costanti che corrispondono a molte sfaccettature concettuali e filosofiche dei lavori di David Bowie. Esplorazioni di concetti che si possono leggere di seguito o a caso quando sono collegate a un richiamo, ma che letti insieme compongono la tesi generale del libro, quella della multiforme e articolata natura dell’arte bowieana .
L’impostazione del libro prevede che ad ogni voce siano dedicate tre pagine; ogni parola-chiave diventa uno spunto (o un cluster, come scrivono gli autori nell’introduzione). Il lavoro di analisi può arrivare da più parti, e il lettore potrà scegliere il proprio percorso, opzione che gli autori incoraggiano, evitando così di affrontare un saggio corposo.
Succede che qualche volta le voci sembrino interrompersi di colpo; quando ci si aspetta uno sviluppo si arriva alla fine della terza pagina. Alla voce Amore, ad esempio, dove non si menziona una canzone come Soul Love, che qualcosa di interessante sul tema lo dice, né Loving The Alien che ben avrebbe collegato questa voce a Altro (ma è un brano che non viene nominato mai, neanche nella voce Religione dove sarebbe stato interessante parlarne). Sono i pochi momenti in cui il formato scelto mostra i propri limiti.
Ma questo non impedisce a tante voci di chiarire alcuni dei temi che si agitano nella produzione di Bowie: Tòpoi è particolarmente interessante per il modo in cui si spiega l’uso dei luoghi comuni (in senso ampio) come punto di partenza per farsi comprendere da un pubblico più largo e poi spostarne volontariamente il loro significato.
Voce riassume in modo efficace la tesi del libro (esattamente come fa appunto la voce duchesca ponendosi come sintesi del suo discorso espressivo). Mentre Mostruoso approfondisce un tema che percorre tutta l’opera di Bowie e che si intreccia con l’altro, fondamentale, della Morte.
Nel capitolo dedicato a quest’ultimo argomento, forse a causa della sua complessità, si nomina Bring Me The Disco King, ma forse si poteva leggere l’album Reality come un annuncio di morte quasi quanto Blackstar.
Questo libro potrebbe essere una strada al contrario per seguire percorsi tematici e inseguire poi gli album, per sfruttare le visite guidate offerte prima di optare per un percorso personale, per usare come guida non tassativa alle numerose pretty e strangest things che David Bowie ha costruito e disseminato nella propri carriera.
Giulio Pasquali