
01 | Fantastic Voyage | 2:55 |
02 | African Night Flight | 2:54 |
03 | Move On | 3:16 |
04 | Yassassin | 4:10 |
05 | Red Sails | 3:43 |
06 | D.J. | 3:59 |
07 | Look Back in Anger | 3:08 |
08 | Boys Keep Swinging | 3:17 |
09 | Repetition | 2:59 |
10 | Red Money | 4:17 |
Tutti i brani sono composti da David Bowie ad eccezione di African Night Flight, Red Sails, Look Back in Anger e Boys Keep Swinging scritti da David Bowie e Brian Eno. Red Sails scritto da David Bowie e Carlos Alomar, D.J. scritto da David Bowie, Brian Eno e Carlos Alomar.
Informazioni
Data di Uscita
18 Maggio 1979
Registrazione
Mountain Studios, Montreux (Svizzera) e Record Plant Studios, New York (USA) – Settembre 1978/Marzo 1979
Produzione
David Bowie, Tony Visconti
Recensione
Forse è così che funziona la memoria musicale: conserviamo più nitidamente gli album che ci hanno disorientato rispetto a quelli che ci hanno semplicemente intrattenuto. Come certi viaggi in cui ci siamo persi e abbiamo scoperto strade che non comparivano sulle mappe.
Quando David Bowie pubblicò “Lodger” il 18 maggio 1979, completò quella che continuiamo a chiamare “Trilogia Berlinese” con un paradosso: un album registrato principalmente in Svizzera (nei Mountain Studios di Montreux) e che non parla di Berlino. Un disco che conclude un’era tedesca celebrando l’assenza di radici. Un’opera che trasforma l’esilio in una forma d’arte. Chiamarlo semplicemente il capitolo finale di una trilogia è come chiamare “casa” una stanza d’albergo.
Mi chiedo se Bowie, mentre registrava con Brian Eno e Tony Visconti, sapesse che stava creando non tanto un album quanto un documento d’identità falso. Ogni canzone un visto per un paese immaginario. Ogni nota un timbro sul passaporto di un viaggiatore che non ha intenzione di fermarsi.
La particolarità di “Lodger” risiede nella sua natura transitoria. Quando ascolti “African Night Flight“, non stai semplicemente ascoltando suoni africani reinventati attraverso la sensibilità europea; stai sperimentando cosa significa essere un turista nella propria musica. Il brano inizia prima che tu sia pronto e finisce prima che tu capisca cosa è successo, proprio come un sonno inquieto in una città straniera.
“Yassassin” (che significa “lunga vita” in turco) è una cartolina sonora da un Istanbul che esiste solo nella mente di Bowie. C’è qualcosa di profondamente commovente nel sentire un inglese che canta “non sono un motel” in una melodia turca deformata. Come se l’identità fosse una stanza presa in affitto per una notte.
Ho sempre pensato che “Fantastic Voyage” contenesse il segreto dell’intero album nei versi “In the event that this fantastic voyage should turn to erosion and we never get old / Remember it’s true, dignity is valuable / But our lives are valuable too“. In queste parole c’è tutta la malinconia del “lodger”, dell’inquilino temporaneo: la dignità del viaggio contrapposta alla fragilità dell’esistenza, la necessità di attraversare mondi sapendo che l’erosione è sempre in agguato.
“Red Sails”, con il suo ritmo propulsivo che ricorda i Neu! e il krautrock tedesco, evoca un viaggio attraverso mari sconosciuti. Carlos Alomar, George Murray e Dennis Davis creano una struttura ritmica solida dove le melodie sembrano inseguirsi come vele gonfiate da venti contrari. Il testo parla di “un’auto fuori dal tempo” e di “turisti persi”, consolidando l’idea dell’album come un viaggio attraverso identità provvisorie.
Si aggiunge Adrian Belew in qualche brano, chitarrista dalla tecnica rivoluzionaria reclutato da Bowie dopo averlo visto suonare con i Talking Heads. La sua capacità di estrarre dalla chitarra suoni inauditi, quasi non identificabili con lo strumento stesso, rappresenta perfettamente lo spirito di un album dedicato allo sradicamento e alla trasformazione.
“D.J.” resta una delle riflessioni più acute sulla frammentazione dell’identità nell’era moderna. “I am what I play” canta Bowie, e in quella semplice frase c’è l’intuizione che anticipava di decenni la nostra attuale condizione di esseri umani definiti dalle nostre playlist, dai nostri consumi culturali. Il DJ come metafora perfetta dell’uomo contemporaneo: qualcuno che esiste solo attraverso la curatela di esperienze altrui.
In “Boys Keep Swinging“, l’inquilino si traveste da mascolinità tradizionale con un’ironia così tagliente che quasi quarantasette anni dopo ancora sanguina. Il testo celebra i privilegi maschili con un entusiasmo così esagerato da diventare critica feroce. E come dimenticare il video, con Bowie in drag, che smantella la propria immagine pubblica applicando e rimuovendo rossetto davanti a noi?
C’è una violenza sottile in “Repetition“, dove l’inquilino diventa prigioniero della routine domestica. Il narratore, Johnny, che maltratta la moglie con la stessa indifferenza con cui sposta un mobile, rappresenta l’orrore della familiarità trasformata in abuso. È il lato oscuro della casa, l’antitesi del nomadismo celebrato nel resto dell’album.
“Look Back in Anger” non è solo un omaggio al dramma di John Osborne; è un’apocalisse personale, un angelo custode che visita l’inquilino per annunciargli che il tempo della permanenza è scaduto. Con versi come “Waiting so long / I’ve been waiting so, waiting so” e “The angel of death is standing on the threshold“, Bowie evoca un’attesa esistenziale che si risolve solo nell’abbandono finale.
Il contributo di Eno all’album è simile all’influenza di un fantasma: invisibile ma onnipresente. Le sue “Oblique Strategies”, carte che imponevano vincoli creativi casuali, trasformarono le sessioni in un esperimento di disorientamento controllato. Musicisti costretti a suonare strumenti sconosciuti, tonalità alterate all’ultimo momento, brani composti suonando al contrario altre canzoni (come nel caso di “Move On“, che è “All the Young Dudes” suonata al contrario).
La copertina dell’album – Bowie fotografato da Brian Duffy come se avesse appena subito un incidente, il viso distorto, il naso apparentemente rotto – è l’immagine perfetta dell’inquilino cosmico: qualcuno che non appartiene neanche al proprio corpo. L’identità come incidente, come collisione tra chi pensavamo di essere e chi siamo diventati.
Se “Low” era immersione nell’isolamento e “Heroes” un inno all’amore nell’epoca della divisione, “Lodger” è un’opera sull’impossibilità di trovare casa in un mondo che cambia troppo velocemente. È un album che non ti permette mai di sentirti completamente a tuo agio, che ti sposta continuamente da una stanza all’altra, che cambia le serrature mentre dormi.
Nel 1979, l’album confuse critica e pubblico. Non era abbastanza sperimentale per i fan dell’avanguardia né abbastanza accessibile per il pubblico mainstream. Era, come ogni vero inquilino, fuori posto. Ma col passare del tempo, mentre il mondo diventava sempre più simile alla condizione descritta nell’album – globalizzato, transitorio, sradicato – ha acquisito una chiarezza profetica.
Ogni volta che ascolto questo album, penso a ciò che mia nonna diceva sulle valigie: non sono fatte per contenere vestiti, ma per contenere versioni di noi stessi che non abbiamo ancora incontrato. “Lodger” è la valigia musicale di Bowie, piena di identità in attesa di essere indossate, di luoghi in attesa di essere visitati, di porte in attesa di essere attraversate.
In un’epoca in cui tutti siamo diventati inquilini temporanei – della tecnologia, delle relazioni, delle ideologie – “Lodger” non è più solo un album, ma una condizione esistenziale. L’inquilino ha lasciato l’appartamento da tempo, ma ha dimenticato di restituire le chiavi. E noi continuiamo ad abitare le stanze che ha abbandonato, ascoltando gli echi dei suoi passi.
di Daniele Federici
Musicisti
David Bowie
(voce, chitarre, tastiere, sintetizzatore, chamberlin)
Carlos Alomar
(chitarra, batteria su Repetition)
Dennis Davis
(batteria, percussioni, basso su Repetition)
George Murray
(basso)
Sean Mayes
(pianoforte)
Brian Eno
(sintetizzatori, tastiere, piano su Repetition)
Adrian Belew
(chitarra, mandolino su Fantastic Voyage)
Simon House
(violino, mandolino su Fantastic Voyage)
Tony Visconti
(cori, chitarra, basso, mandolino su Fantastic Voyage)
Roger Powell
(sintetizzatori su Repetition e Red Money)
Stan Harrison
(sassofono su Boys Keep Swinging )
CREDITI
Duffy
(foto di copertina)
David Richards
(ingegnere del suono)
Eugene Chaplin
(assistente ingegnere)
Rod O’Brien
(ingegnere al missaggio)
Greg Calbi
(ingegnere al mastering)